Non c’è scampo. Facciamocene una ragione. Nonostante gli sforzi personali e i sacrifici economici. La povertà bussa alla porta di chi studia e l’istruzione come garanzia di ascensore sociale è ormai un ricordo (ammesso che in Italia sia mai veramente esistita).

I dati Istat pubblicati pochi giorni fa sono implacabili: aumenta la povertà relativa, ovvero correlata agli standard di vita prevalenti all’interno di una data comunità, e questo avviene anche per chi è in possesso di un titolo di studio medio-alto (si passa dal 4,8% al 5,6% nel 2010). S’innalza anche la povertà assoluta, ovvero quella legata alla semplice sopravvivenza o ad un livello di vita ritenuto accettabile, e tutto questo nonostante il diploma o la laurea (dall’1.7% al 2,1%).

Dedizione allo studio, mancanza di sostenibilità economica e assenza di prospettive. Mi viene in mente la storia di Luca Cian, il più giovane docente universitario italiano. Luca l’ho intervistato qualche mese fa per il mio libro sui lavoratori della rete. Un bel giorno ha deciso di trasferirsi all’estero. Ha mollato l’Italia perché si è scontrato con un magro stipendio e con l’assenza totale di fondi di ricerca. Ora è ad Ann Arbor, in Michigan, una cittadella-campus vicino a Detroit. “L’università italiana è diventata un sistema parassitario dove i vecchi baroni, ovvero i professori più potenti, hanno la meglio. Attualmente non ci sono né i soldi né una struttura meritocratica che permetta ai giovani di entrare nel campo della ricerca”, afferma Luca.

Le soluzioni che si prospettavano a Luca erano due: andarsene o cambiare mestiere. Ora fa lo studioso indipendente alla Ross Business School. Scrive articoli e collabora con docenti statunitensi. Dubita di tornare in Italia. Almeno per ora.

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