I tagli alla cultura e la conseguente riduzione dei fondi del Fus (Fondo Unico per lo spettacolo) ha ridotto gli addetti ai lavori a puri mendicanti, costretti a elemosinare contributi da aziende pronte ad adesioni in cambio di una generosa, e spesso , fin troppo spinta pubblicità. Le associazioni, compagnie teatrali e altre entità che si occupano dell’ideazione e della messa in scena di format culturali (operando in direzione della valorizzazione della storia e della cultura), si ritrovano costrette ad accettare compromessi da società private e dai loro rappresentanti senza scrupoli. Si tratta di contratti firmati per disperazione e che rischiano di rovinare il lavoro creativo dei professionisti del settore, ossia la genialità e la qualità del prodotto finito, con pretese assurde da parte dei finanziatori come quella di rientrare nell’organizzazione stessa degli spettacoli in questione. Il sistema costringe gli artisti a una prostituzione vera e propria… con una piccola differenza: la legalità.
Alessandro de Nicola, avvocato e giornalista, in un articolo apparso recentemente sull’Espresso, fa un’interessante osservazione considerando però il problema del sussidio pubblico: “Nel momento in cui uno Stato, attraverso la sua burocrazia e la classe politica finanzia l’arte, ne influenza i contenuti … i soldi alla fine andranno a favore non di chi se li merita di più, ma di chi appartiene al gruppo di pressione meglio organizzato o più vocifero.
Ma l’arte non era libera? Come fare allora? In entrambi i casi quindi la libertà non esiste (considerando il significato letterale del termine: stato di chi è libero o condizione di chi ha la possibilità di agire senza essere soggetto all’autorità o al dominio altrui). Col sussidio statale la creatività è influenzata dalla classe politica dominante che sceglie i contenuti più rappresentativi e ne favorisce le linee guida; nell’altro caso si è liberi di scegliere fra i vari contribuenti privati però, quasi sempre, ci si ritrova a dover scendere a compromessi tutt’altro che di nobile origine.
Prendiamo l’esempio “pubblico” che dovrebbe esprimere innanzitutto chiarezza.
Nell’arte, come in politica, il sussidio crea inefficienza, mancanza di equità nelle erogazioni e nella scelta dei destinatari etc. Tutto ciò contribuisce alla creazione di un circolo vizioso costruito da pessimi burocrati che più che scegliere il merito (sembra che non lo prendano neanche in considerazione) si fanno trascinare dall’immagine che l’eventuale destinatario del sussidio è riuscito a costruire intorno a se grazie alla sicurezza economica che lo stesso sussidio gli garantiva. Conseguenza: il sostegno crea dipendenza, quindi abitudine che placa gli stimoli ad agire e a meritare “il guadagno è lo stesso quindi non vedo ragione per la quale devo impegnarmi a spremere la mia creatività … tanto non cambia nulla”.
Gli artisti quindi, quelli considerati “fortunati” perché sussidiati, rischiano di diventare dei semplici esecutori di cose viste e straviste, e l’arte, la vera Arte, quella che ha contraddistinto l’area geografica italiana come unica al mondo non solo per il territorio e la storia, ma per la straordinaria capacità della gente di rendere ogni attività bella, originale e preziosa, si perde nei meandri di linguaggi monotoni e scontati.
Dal punto di vista di chi scrive, il sistema in questione, se non s’interviene a breve, produrrà un vuoto culturale, etico e civile, impoverendo l’offerta e di conseguenza, il sistema economico e produttivo di una città e di un paese intero. Penso a Bologna che non è solo stanca ma esausta. I suoi creativi sono depressi e sembra che alcuni stiano già guardando altrove. Una città, conosciuta per il brio e la varietà dell’offerta culturale sta pian piano, una alla volta, spegnendo tutte le sue luci. Cambiano così i colori, l’acceso mattone sta prendendo una patina grigiastra.
La Fondazione Teatro Comunale di Bologna rischia il commissariamento se non addirittura la chiusura. Sono voci che girano e che fanno venire la pelle d’oca. Guardare altrove però non è facile. Il legame con una città che si è sempre dimostrata amica è indissolubile anche in tempi di crisi. Sarebbe come tradire se stessi, l’amico del cuore o addirittura, per alcuni, una madre stanca e malata. E sono proprio questi ultimi che devono agire, andare alla ricerca di risorse alternative per curare questo male prima che aggredisca i tessuti più deboli e indifesi.