Nel nero sabato segnato dalla tragedia norvegese smette di brillare a Londra, a soli 27 anni, la stella di Amy Winehouse. Anche lei, come altre rockstar del passato, trovata morta in casa sua, probabilmente per via di un cocktail di alcool e farmaci.
Forse è ancora presto per affibbiarle il solito stereotipo dell’icona giovane, ricca, famosa e tormentata, poiché tralasciando le indubbie capacità canore, la vincitrice di cinque Grammy awards non era una ribelle alla Jim Morrison, né ha mai concluso esibizioni dando fuoco ad una chitarra elettrica dopo averci fatto sesso come Jimi Hendrix, né cantando faceva “ogni sera sesso orale con più di 20.000 persone” come quella che forse fu una delle sue maggiori ispiratrici, Janis Joplin.
Il ricordo più vivido che il mondo ha ancora di lei è solo quello della pietosa e traballante esibizione in Serbia del mese scorso (ultima sua apparizione in pubblico), che ha portato il suo management a cancellare le altre 11 date previste per il tour europeo.
Ma proprio come per i tre artisti sopracitati, il fatto di essere morta giovane la farà entrare di diritto in quella stretta cerchia di immortali della musica – il club 27 – che mai invecchieranno.
Caratteristica fondamentale dei membri di questo club è l’aver rappresentato qualcosa che sia riconoscibile e ascrivibile a loro solamente. E se è vero che maggiormente nel pubblico italiano la Winehouse rappresenta “la sbandata che canta il soul come e meglio di una nera” per gli inglesi e soprattutto per i londoners lei ha rappresentato altro.
Amy Winehouse non solo viveva da molto tempo a Camden Town; Amy Winehouse era Camden Town.
Di quel quartiere situato sulla Northern Line, poco al di sopra di King’s Cross, lei riuscì ad incarnare l’anima profonda. Con i suoi innumerevoli tatuaggi di pin up colorate, il trucco massiccio e l’eccentrica impalcatura dei capelli corvini ha portato lo stile dei camdeneers, trasgressivo, non alla moda e noncurante del giudizio altrui, in giro per il mondo.
Nonostante la fama mondiale da quel quartiere, una volta roccaforte della scena punk ed alternativa ed ora quasi esclusivamente roccaforte del consumismo di massa, non si è mai separata, e anche dopo le 10 milioni di copie vendute nel 2006 con l’album Back To Black ha sempre mantenuto le sue abitudini (comprese le più estreme), tra cui quella di bere qualche pinta nel suo pub preferito: l’Hawley Arms; tanto che in un articolo dell’ Independent dell’agosto 2007 sulla ricostruzione dello stesso a seguito di un incendio, la Winehouse venne descritta come una “presenza talmente fissa da poter essere fatta presidente onoraria a vita del club”.
Ora sappiamo che questa presidenza non sarebbe durata molto e che quel pub, teatro di chissà quante pinte, la riavrà solo tramite i ritratti a carboncino che sono appesi alle pareti .
Non solo l’ Arms, ma anche quel mix di colori, odori, sapori e musiche che risponde al nome di Camden Town, serberà a lungo un suo ricordo; il ricordo della camdeneer che ha portato in giro per il mondo lo spirito unico di quel luogo, incarnandone alla perfezione i pregi e i difetti fino all’ultimo tragico giorno.
di Francesco Mandolini, giornalista freelance