Il re Harald V e la regina Sonja piangono asciugandosi il volto con fazzoletti candidi. Nella cattedrale luterana di Oslo, domenica mattina, è altissima la commozione durante la cerimonia in memoria delle 93 vittime della furia mitomane di Anders Behring Breivik. Il primo ministro Jens Stoltenberg pronuncia un breve discorso: ricorda Monica che lavorava sull’isola di Utoya da 20 anni e Tore Elkeland, leader dei giovani laburisti, talento promettente per il partito.
«Sono passati solo due giorni da quando la Norvegia è stata colpita dalla peggiore atrocità dalla fine della seconda guerra mondiale» dice «ma sembrano un’eternità», tanto le ore sono state riempite dalla disperazione, dallo shock, dalla rabbia e dal pianto. «Siamo stati colpiti, ma saremo capaci di mantenere i nostri valori. La nostra società rimarrà aperta, democratica, libera».
La follia del giovane Anders, neonazista-templare-massone, ha precipitato cinque milioni di norvegesi in una realtà di terrore sconosciuta nel paese ai primi posti della classifica Undp (l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo) per la migliore qualità di vita. Ma non ha fatto perdere la consapevolezza che la democrazia è il primo valore da difendere e sostenere. «Nessuno distruggerà la nostra democrazia e il nostro impegno per una società migliore. La nostra risposta alla violenza sarà ancora più democrazia e umanità, ma senza ingenuità. Lo dobbiamo alle vittime e alle loro famiglie» aveva dichiarato Stoltenberg, al governo dall’ottobre 2005, nella prima conferenza stampa, venerdì 22 luglio.
Una grandissima sfida attende i cittadini norvegesi. Non sarà facile superare lo shock e l’orrore. Senza neppure il rifugio di proiettare la colpa della tragedia avvenuta sull’Altro, il diverso, l’islamico, il terrorista perché è dall’interno che è venuta la minaccia. Le immagini delle commemorazioni a Oslo e sull’isola di Utoya, la responsabilità e la pacatezza con cui il primo ministro ha risposto, senza invocare regimi di polizia, fanno ben sperare. Sarebbe un danno per tutti noi se, in un mondo sempre più alla deriva di fondamentalismi, anche la piccola oasi norvegese abdicasse alla sua vocazione di civiltà democratica.