In Italia I distributori non correlati alle marche tradizionali delle compagnie petrolifere sono solo il 2% sulla rete di distribuzione nazionale, eppure questi gestori-imprenditori, sono l’inizio della liberalizzazione che potrebbe scalfire l’ultimo baluardo del monopolio delle nazionalizzazione, quello degli idrocarburi. 400 contro le quasi 24.000 del circuito nazionale.

Di queste, all’incirca trenta sono in Emilia Romagna (una delle prime realtà ad aver aperto il varco alla liberalizzazione del mercato degli idrocarburi), il che significa un’incidenza discreta sul territorio. Distribuiti lungo tutte le maggiori province emiliano-romagnole, i distributori low cost consentono alle persone un risparmio che tra gli 8 e i 10 cents al litro, che per un pieno (50litri) significherebbe un risparmio di circa 4 euro. Com’è possibile?

Il primo motivo, spiega Roberto Trefiletti, presidente di Federconsumatori, “è che nelle pompe bianche i capitali sono tuoi, per cui l’ammortamento è necessario”. Le pompe bianche, quelle vere (perché occhio alle sottocategorie del circuito di rete nazionale), sono piccoli imprenditori o addirittura ex agricoltori che comprano il terreno, l’impianto, la concessione e gestiscono un piccolo impianto, per cui ridurre gli investimenti al minimo, è vitale. “Questa è la grande differenza! – spiega Trefiletti – Te lo vedi un petroliere a gestire un distributore?” .

Va precisato che la fonte di approvvigionamento del carburante dei distributori low cost e dunque la sua qualità, è la stessa delle grandi aziende del cartello, ma il percorso della filiera che dai grandi porti conduce fino alle stazioni di servizio, è estremamente ridotto. La cosiddetta “filiera corta”, consiste nel “rifornimento alla fonte”, e cioè nel portare il carburante dai porti e dalle raffinerie nazionali direttamente alla pompe più vicine senza intermediari. Avendo contratti a quotazione internazionale, che corrono dunque sul circuito cosiddetto extrarete, i low cost non sono vincolati alle politiche di rete dei distributori nazionali e nemmeno alle tariffe applicate dalle compagnie petrolifere nazionali. In questa maniera, il prezzo della benzina rimane quello iniziale d’acquisto, risentendo esclusivamente delle mutazione del mercato internazionale, e naturalmente del prezzo del petrolio al barile, ma non dei mutamenti altalenanti e instabili delle politiche economiche nazionali quando non addirittura regionali.

Inoltre i camion vengono riforniti a carichi completi. Scaricando in un solo punto, ne derivano benefici logistici.

Ma c’è di più: l’assenza di marchio su cisterne e su pompe di distribuzione – che vale ai distributori no-logo la denominazione di “pompe bianche” – elimina i costi derivanti dal marketing e dalla pubblicità.

Alla base di questo “commercio quasi banalizzato”, come l’ha definito Luca Panzavolta, c’è “l’estrema semplificazione di servizi e impianti”. Il che, banalmente, significa come dicevamo: investimenti bassi. Il self-service durante le ore di chiusura e la cassa unica all’uscita durante gli orari di apertura, è un esempio della razionalizzazione della rete. Novità che, per inciso, si vanta di aver introdotto la suddetta manovra finanziaria. Inutile dire che in Europa questo sistema dei distributori “ghost” (completa automatizzazione) è in pieno sviluppo da tempo.

Senza dimenticare che alcuni di questi impianti sono fisicamente legati agli ipermercati a cui molti dei distributori indipendenti fanno capo. Insomma, “tutte le sinergie possibili vengono fatte”, come spiega sempre Panzavolta.

E questa gestione premia: i volumi per ogni impianto raggiungono i 10 milioni di carburante, contro il 1,6 milioni degli impianti nazionali. Riassumendo: “I clienti sono l’elemento di forza fondamentale per abbattere i prezzi”. Come a dire: decide chi consuma. Voce che guarda caso si chiama “costo di opportunità”.

(i.g.)

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