Quando a settembre, alla prossima Mostra del cinema di Venezia, avrete la possibilità di vedere il film L’ultimo terrestre per la regia del fumettista Gipi, ricordatevi che i disegni, a cui si ispira la pellicola italiana in concorso al Lido, sono stati realizzati dal cesenate Giacomo Monti.
Classe ’75, fumettista, o ex fumettista da ciò che trapela nell’intervistarlo, Monti è un disegnatore affermato e amato in Italia e all’estero per lo stile asciutto e per la secchezza chirurgica del suo tratto col quale narra impietosamente vicende di umane quotidianità e miserie.
Anche quando, come nel caso dell’invasione aliena dei brevissimi racconti di Nessuno mi farà del male (2010), fonte d’ispirazione del film di Gipi, quotidiano e straordinario si mischiano, con il risultato finale che pure il monstrum, il diverso, l’inatteso finisce per liquefarsi nella routine della più terrestre ripetitività.
Ci voleva un fumettista come Gianni Pacinotti, ai più noto come Gipi, e un coraggioso produttore come Domenico Procacci della Fandango, per far emergere addirittura su grande schermo, il tratto di Monti. L’ultimo terrestre, titolo del film di Gipi (in rete è disponibile il trailer) si svolge ai nostri giorni, in un’Europa in piena crisi economica, alla vigilia di uno sbarco alieno. La vicenda è vista attraverso gli occhi del protagonista, Luca Bertacci, uomo misogino e solitario, che presta allo spettatore il proprio sguardo, anch’esso “alieno”, isolato e diverso, sulle reazioni delle persone allo sbarco delle creature extraterrestri.
Posizione disincantata e di amaro realismo che sembra caratterizzare la vita attuale del Monti privato: “Il riconoscimento positivo da parte della critica non si traduce in termini economici”. Tanto che il fumettista cesenate ha lasciato da parte ciò che ha fatto in forma ossessiva per otto anni (disegnare, disegnare e ancora disegnare) per dedicarsi ad un “altro” che meglio non specifica, e che racchiude in sé pure una grossa fetta di dedizione delle proprie energie al privato, all’amore e alla sopraffina arte del “cazzeggio”.
Quando è nata l’idea del progetto?
Quando nel 2010 uscì Nessuno mi farà del male Gipi ebbe un vero e proprio colpo di fulmine per il libro, al punto che aveva deciso di acquistare personalmente i diritti per la trasposizione cinematografica: solo in un secondo momento è intervenuta la Fandango di Procacci. Dell’esordio di Gipi al cinema si sapeva già da qualche tempo, e credo di poter comprendere bene quali difficoltà avesse ad immaginare il proprio lavoro trasposto su un altro media che non fosse il fumetto. Non fosse altro che per una questione di coinvolgimento emotivo troppo intenso, di mancanza di un giusto grado di distanza ed oggettività. Di qui, credo, l’esigenza di trarre ispirazione dai miei racconti, rispetto ai quali aveva avvertito una profonda vicinanza.
Quali sono state le tue impressioni alla visione? Vicinanza, tradimento, stupore, delusione?
Ho visto solo alcuni spezzoni e non il film per intero. Quello che posso dire è che il mio libro è stata fonte di ispirazione, ma l’opera è attribuibile al cento per cento a Gipi. Sono stato invitato varie volte sul set ma non ho partecipato alla stesura della sceneggiatura né messo mano in alcun modo alla lavorazione: L’ultimo terrestre vive di vita propria, libro e film sono due opere distaccate.
Anche perché è piuttosto difficile immaginare il tuo lavoro -racconti brevi, testi scarnissimi, un tratto del disegno secco e ridotto all’essenziale- tradotti in forma cinematografica…
In effetti sarebbe stato logico immaginare un film ad episodi, ma non credo funzioni molto. Per questo Gipi si è preso la libertà di creare una storia con un personaggio principale perché dal punto di vista della narrazione cinematografica risulta molto più funzionale, accattivante per il grande pubblico. Anche per questo considero l’opera completamente di Gipi. Nei miei lavori la forma del racconto breve è anche una scelta di poetica, è sostanziale. E anche se alcune scene sono riprodotte nel film in forma molto fedele l’impressione che ho avuto vedendole non è stata quella di vedere un mio lavoro su schermo quanto piuttosto un fumetto di Gipi trasposto al cinema.
Sarai presente a Venezia?
Se mi invitano alla prima a Venezia lo vedrò anche io. Anche se non amo molto le grandi vetrine. Non mi va di sbandierarmi come artista con la “A” maiuscola. A disegnare ho cominciato per caso, a 27 anni, e per otto anni non ho fatto altro. Ho guadagnato forse in pochi anni, sia in termini economici che di riconoscimenti, ciò che altri disegnatori mettono insieme in un’intera carriera. Ma a farci bene i conti credo di guadagnare la metà di un disegnatore Cad di una qualsiasi azienda di provincia. Alla fine ti vien da pensare “ma chi te lo fa fare?”. Porterò a termine altri due racconti perché non mi piacciono le cose lasciate a metà, poi cambierò strada, cercherò nuovi stimoli. Sono altre le cose per cui vale la pena vivere.