Ci vuole un coraggio che oggi non ho a parlare di cinema, quando nel pieno della preparazione di un film, cercando la location giusta in una città italiana importante, una di quelle per intenderci in cui hanno giocato le partite dell’ultimo mondiale di calcio che si è svolto nel nostro paese, (mi viene in mente perché nei sopralluoghi andiamo anche negli spogliatoi dello stadio e ancora ci sono le indicazioni in doppia lingua predisposte in  tutti gli stadi italiani quando si fecero i mondiali) entri in un appartamento di un quartiere appena oltre il centro e trovi in due camere una cameretta e servizi ammassate undici persone che vivono insieme, con due bambine che girano per casa nude e sporche di cacca, con il ragazzo che dorme diciotto ore al giorno e per le restanti ore non fa nulla, con parentele tra gli abitanti difficilmente intellegibili al primo sguardo, con una povertà che si legge anche attraverso le tapparelle rotte da chissà quanti mesi, anche al buio di un bagno che ha la lampadina rotta da settembre dello scorso anno, il tutto nel palazzo che è proprio sulla curva della strada che porta verso il centro della città, su quella curva in cui la notte di lampioni rotti e fuori uso è illuminata dal manifesto a 24 fogli che fa recitare a un noto attore francese, fama da bello e maledetto, il lusso è un diritto.

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