L’occasione è una di quelle che vanno accolte con favore. Si tratta delle pagine, molto belle e decisamente utili, che Michele Ciliberto dedica a un grande protagonista della cultura filosofica italiana: Eugenio Garin. Un intellettuale nel Novecento (Laterza).
Tre saggi, tre differenti momenti dell’opera del filosofo e della sua figura: l’interpretazione del Rinascimento, condotta su testi meno noti e su un prezioso materiale d’archivio; l’atteggiamento di fronte alle grandi correnti del Novecento e, non da ultimo, il ruolo di “maestro” giocato su più d’una generazione – fra i suoi allievi c’è da annoverare lo stesso Ciliberto. Il quale, pur esplicitando la mancanza di una ricerca organica su Garin, in qualche modo ne pone egli stesso le fondamenta.
L’importanza di questo lavoro è ben più ampia di quanto si possa pensare. Il motivo lo spiega lo stesso Ciliberto, ribadendo il forte impegno di Garin nel rilanciare la dimensione “civile” della filosofia italiana: «Un’analisi della sue posizioni può, perciò, essere utile per iniziare una riflessione di carattere generale sulla filosofia italiana nella seconda metà del Novecento, avviando una stagione critica che chiuda, almeno su questo terreno, l’epoca delle contrapposizioni di carattere pregiudizialmente ideologico».
Non è un tema peregrino. È giunto il momento di dar corso a una fase che risponda all’esigenza di ricostruire il fattore nazionale della filosofia italiana. Già trent’anni fa Carlo Augusto Viano ne denunciava la mancanza poiché, scriveva, «la filosofia italiana ha fatto della società e dei rapporti tra filosofia e società il proprio tema centrale; ma esso è diventato anche il suo oggetto interno e su di esso ha agito l’effetto di opacità proprio delle teorie filosofiche…».
Da allora non è cambiato molto. Perciò porsi il problema, come fece Garin e come ci invita a fare oggi Ciliberto, è più che utile. Si avrà così l’occasione di scoprire che la riflessione filosofica più viva in tutto il mondo è pratica, morale (e non moralistica). E anche noi, in Italia, abbiamo avuto e abbiamo ancora oggi una tradizione (i cui numi tutelari ritroviamo in Gramsci, Banfi, Massolo, Luporini, Bobbio, solo per fare qualche nome).
È una riflessione che si interroga sul senso e sull’evoluzione delle istituzioni, sugli strumenti della partecipazione sociale e politica, sui fondamenti e sulla struttura di una società giusta o almeno tale che possa venire a capo dei conflitti che essa stessa di continuo genera. È una lezione da tenere a mente. Era la lezione di Garin, che oggi Ciliberto ci ripropone con forza.