Quello dei sacchetti di plastica è uno strano caso di bando fantasma: un divieto di commercializzazione entrato in vigore a gennaio, tramite comunicato stampa, in assenza di decreti attuativi e sanzioni, in cui ancora non si capisce bene quali sacchetti siano stati banditi. Non ne sono certi nemmeno al Ministero dell’Ambiente. E ora spuntano anche una procedura di infrazione a carico dell’Italia (per la mancata notifica alla Commissione Europea) e un’indagine in corso per capire se il bando rispetti o no la libera circolazione delle merci.
Nonostante il silenzio del Ministero, da Bruxelles qualcosa si è mosso e qualcosa trapela: costituzione in mora per l’Italia (n° di procedura 2011_4030) per la mancata notifica dell’entrata in vigore del divieto, che avrebbe dovuto essere comunicata per tempo alla Commissione e che invece, come scrisse ad aprile il Commissario Janez Potocnik nella lettera inviata al ministro Prestigiacomo “il 1° gennaio 2011 ha iniziato ad avere effetto in assenza di qualsiasi notifica”.
Ma non solo: al di là delle modalità con cui il bando è entrato in vigore, la Commissione ha sollevato perplessità sugli stessi contenuti del divieto. Il notiziario ambientale Eco dalle Città ha chiesto spiegazioni in merito alla Direzione generale dell’Ambiente dell’Unione Europea, che ha risposto quanto segue: “Al momento la procedura di infrazione riguarda solo la violazione dell’obbligo di notifica, ma stiamo continuando ad esaminare la questione relativa alla libera circolazione delle merci ai sensi della direttiva imballaggi. A questo proposito, nel luglio 2011 la Commissione ha presentato osservazioni per l’Italia che riguardano le misure proposte dalle autorità italiane. Non escludiamo nessun ulteriore passo appropriato per l’attuazione delle direttive 94/62/CE e 98/34/CE”.
E’ stata in particolare la Gran Bretagna a sollevare obiezioni, e la questione di fondo è se un oggetto non vietato e di per sé non nocivo (il sacchetto di plastica) possa essere completamente bandito (divieto di commercializzazione) solo perché una parte degli utenti poi non lo gestisce correttamente, cioè lo lascia libero nell’ambiente.
E nel frattempo in Italia cosa sta succedendo? I sacchetti di plastica tradizionali sono spariti dai supermercati ma basta fare un giro per negozi o in qualsiasi mercato rionale, da Torino a Palermo, per vedere che, evidentemente, il bando non è operativo. Il comunicato diffuso a fine dicembre dai Ministeri (Ambiente e Sviluppo Economico) sottolineava che le buste bandite potevano essere ancora distribuite dai commercianti “fino ad esaurimento scorte”: escludendo che i sacchetti abbiano imparato a riprodursi da soli, evidentemente i negozianti hanno intuito abbastanza in fretta che aggirare il bando non era una faccenda poi così complicata.
Ben più complicata è invece la situazione dei tanti produttori che vorrebbero lavorare nella legalità, e che da mesi attendono un cenno dal ministero dell’Ambiente per capire quali tipi di sacchetti potranno ancora essere venduti. Ai non addetti ai lavori i sacchetti biodegradabili potranno sembrare tutti uguali, ma non è così. Accanto alle bioplastiche compostabili c’è un’intera nuova fauna urbana in attesa di approvazione: sacchetti additivati, oxobiodegradabili, tutti prodotti che sono sì biodegradabili, e che dunque avrebbero dovuto essere al riparo dal divieto, ma che non sono conformi alla normativa UNI EN 13:432 – successivamente indicata come norma di riferimento – che serve però a determinare la compostabilità di un prodotto e non la sola biodegradabilità.
Sull’operato del ministero è decisamente critica Unionplast, l’associazione di categoria che riunisce i produttori di imballaggi plastici: “Le aziende sono state abbandonate tra incertezze normative e difficoltà nel reperire i materiali imposti – afferma il Direttore Enrico Maria Chialchia – . Ora che la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per violazione delle direttive europee in tema di imballaggi (ed un’altra è in fase di definizione) il Governo riveda tutta la questione e metta le aziende in condizione di lavorare, sostituendo i divieti con incentivi e aprendo a soluzioni ambientalmente sostenibili. Penso ai sacchetti in plastica riciclata, come quelli certificati Plastica seconda Vita, che sono resistenti, ecologici e soprattutto riutilizzabili”.
Di tutt’altro avviso sulla situazione del bando italiano in Ue è l’Assobioplastiche, associazione di produttori e trasformatori di biopolimeri appena nata per promuovere l’utilizzo e l’immagine di questo materiale in Italia. “Non c’è nulla di strano nel fatto che la Commissione esprima osservazioni su una proposta di legge di uno Stato Membro – ha dichiarato il Presidente, Marco Versari – . Il ministro Prestigiacomo ha notificato a Bruxelles un disegno di legge su cui i Paesi che fanno parte dell’Unione hanno diritto di esprimersi, e l’iter procedurale terminerà all’inizio di ottobre. Questo non significa affatto che l’Europa sia avversa al divieto di commercializzazione, è la prassi”.
di Elena Donà e Paolo Hutter