Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano evoca, senza farne il nome, l’amnistia e l’indulto. Lo fa sollevando il tema del “sovraffollamento nelle carceri, di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Il presidente è intervenuto a un convegno sulla giustizia organizzato dai Radicali a Roma. Serve uno “scatto”, una “svolta”, esorta Napolitano. Nel riproporre l’eterno tema dei penitenziari saturi ben oltre la capienza prestabilita, che già in passato ha portato a provvedimenti di amnistia o indulto, il presidente ha usato toni duri: quella delle carceri “è una realtà che ci umilia in Europa”.
E sembra proprio far riferimento a una possibile riproposizione di quei provvedimenti quando parla di “un’emergenza assillante dalle imprevedibili e forse ingovernabili ricadute, che va affrontata con i rimedi già messi in atto e con ogni altro possibile intervento, non escludendo nessuna ipotesi che potrebbe essere necessaria”. Coerente con questa interpretazione è il richiamo del presidente alla politica che è “oggi debole e irrimediabilmente divisa, incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise”. Aggettivi che ben si sposano con l’adozione di provevdimenti potenzialmente impopolari che richiedono ampie maggioranze parlamentari.
Intanto, ha puntualizzato il presidente, i “fatali” conflitti tra politica e magistratura portano a una “giustizia ritardata o deviata” che complica la soluzione dei problemi. Sempre in tema di politica, Napolitano ha voluto sottolineare “il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depeninteziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, un’abnorme estensione della carcerazione preventiva”. Il risultato è una realtà che “ci allarma per la sofferenza quotidiana, fino all’impulso a togliersi la vita, per migliaia di essere umani chiusi in carcere che, definire sovraffollate, è un eufemismo”. Per non parlare dell’”estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi Paese appena appena civile”. E così si forma ” l’abisso che separa la realtà carceraria dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona, è una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”.