Relazioni e tangenti per ottenere il raddoppio delle volumetrie da costruire sulle aree ex Falck di Sesto San Giovanni. Se all’origine dell’operazione, attorno al 2000, è il costruttore Giuseppe Pasini – stando alle sue accuse – ad aver dovuto pagare l’allora sindaco Filippo Penati, nel 2006 i protagonisti di un copione quasi identico sono diversi.
C’è il costruttore Luigi Zunino, che è subentrato a Pasini nella proprietà dell’immensa area industriale dismessa. E dall’altra parte ci sono i nuovi vertici del comune di Sesto San Giovanni: il sindaco Giorgio Oldrini, il potente direttore generale Marco Bertoli, che occupa la posizione tuttora e fin dall’era Penati, e l’assessore Pasqualino Di Leva, dimessosi nei giorni scorsi, appena raggiunto dall’avviso di garanzia. E naturalmente c’è l’onnipresente imprenditore sestese Piero Di Caterina. Come tra Pasini e Penati, anche tra Zunino e il comune di Sesto è lui l’intermediario. E racconta tutto nei lunghi verbali dell’inchiesta, ora a disposizione di alcuni imputati (pur con molti omissis).
Di Caterina riferisce ai magistrati che l’imprenditore tarantino Stefano Miccolis lo aveva informato della situazione. Il re delle bonifiche Giuseppe Grossi, al lavoro a Sesto per conto di Zunino, aveva problemi di rapporti con l’amministrazione locale: “A quell’epoca Grossi era già presente sul territorio di Sesto, nel senso che aveva avuto alcuni incontri con il sindaco Oldrini e con Bertoli. Di Leva in quel periodo non era in buoni rapporti con Oldrini ed era molto incavolato perché Oldrini teneva i rapporti con Grossi in via autonoma. (…) Nel corso dell’estate 2005 Miccolis mi chiamò e mi disse che sarei dovuto andare in Sardegna dove lui si trovava con Grossi e che mi avrebbero inviato l’elicottero per andare giù”.
Grossi spiega a Di Caterina che Zunino punta a costruire sull’area non i 650 mila metri quadrati concessi a Pasini ma il doppio: un milione e trecentomila metri quadrati (obiettivo che fu poi effettivamente raggiunto). “Grossi mi disse – prosegue Di Caterina – che sull’operazione il sindaco Oldrini e Bertoli erano d’accordo mentre Di Leva si metteva di traverso. Mi chiesero una collaborazione per convincere Di Leva. Ho riferito a Di Leva del mio incontro e lui si è mostrato entusiasta. (…) In quel momento Grossi non aveva accesso a Di Leva e faceva arrivare a Di Leva i messaggi attraverso me. Dissi a Grossi che Di Leva era disponibile a incontrarlo. Ci siamo visti al ristorante Del Pesce a Dalmine, alla presenza di Grossi, Camozzi, Di Leva e mia. In questo incontro si è parlato del progetto e del suo valore. Grossi ha esposto le difficoltà e Di Leva anche. Grossi ha promesso che se fosse passato il progetto non sarebbe stato con le mani in mano. Anzi il progetto doveva passare perché tutti ci stavano lavorando. In questi incontri si faceva riferimento alle delibere che avrebbe dovuto assumere la giunta”.
Rapidamente si arriva a parlare di soldi, e subito alle modalità di trasferimento dei fondi. Racconta Di Caterina: “A un certo punto Di Leva mi disse che aveva necessità di 1,5 milioni di euro per fare fronte alle difficoltà finanziarie della Pro Sesto e di due giornali locali, precisamente la Gazzetta e Il Diario. (…) Ci siamo trovati un paio di volte con Grossi e Camozzi e abbiamo ragionato su come fatturarli. Rappresentai a Camozzi l’esigenza di dare i soldi alla Pro Sesto e ai giornali gestiti da Di Leva e Camozzi disse che non era possibile e che dovevamo trovare un’altra forma, ed elaborammo il contratto di marketing territoriale che fu approvato anche da Di Leva. L’importo del contratto coincideva con la richiesta di Di Leva. A questo punto venne pagata la prima tranche di 750 mila euro e intanto una piccola parte per circa 30 mila euro fu effettivamente spesa sul territorio”. E qui comincia il noioso racconto di come far arrivare i soldi non alla Pro Sesto o ai giornali, ma direttamente, in contanti nelle tasche di Di Leva.
di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti