Nella fretta i berluscones sbagliano riscrivere l'emendamento commettendo errori di diritto. Per questo, una volta arrivato alla Camera, il documento dovrà essere riscritto dalla maggioranza
Pongono la (48esima) fiducia a sorpresa, temendo di non riuscire a portarsi a casa prima della chiusura del Senato, l’ultima legge a favore del Cavaliere, il processo lungo. Ma nella fretta spasmodica di mettersi in tasca il risultato, sbagliano clamorosamente a riscrivere l’emendamento cuore dell’articolato (Mugnai) commettendo marchiani errori di diritto che costringeranno poi la maggioranza, una volta alla Camera, a rimetterci le mani. E, a ricominciare tutto daccapo.
Una figuraccia enorme, che vanifica ogni sforzo degli uomini di Berlusconi di costruire un articolato tale da permettere agli avvocati del Cavaliere di allungare a dismisura le liste dei testimoni per raggiungere serenamente la prescrizione di tutti i suoi principali processi.
È stato il senatore dell’Idv, l’avvocato Luigi Li Gotti, a mettere in aula la maggioranza spalle al muro, raccontando ai pochissimi presenti rimasti ad ascoltare un dibattito totalmente inutile dopo la presentazione della fiducia da parte del governo (in aula erano in 13) in quale errore fosse incorsa la compagine degli avvocati berlusconiani di stanza a Palazzo Madama; in pratica, confondendo i numeri di alcuni articoli del codice di procedura penale, quelli legati al reato di strage e quelli sul sequestro di persona con le successive aggravanti, i berluscones in commissione Giustizia hanno escluso dai benefici penitenziari coloro che hanno commesso una strage “se è morto il sequestrato”.
Insomma, un papocchio giuridico, una svista che si tramuta in un mostro giuridico e inficia tutta la legge. Il relatore del processo lungo, Roberto Centaro del Pdl, ha provato fino all’ultimo a convincere le opposizioni a far finta di nulla, consentendogli di mettere mano all’errore, ma il no è stato netto, anche perché il regolamento non lo consente e i funzionari di Palazzo Madama si sono opposti con vigore. Morale; una fiducia sprecata e un buco nell’acqua per il Cavaliere che non potrà vedersi approvata la sua legge entro ottobre, come avrebbe voluto, in modo da mandare a gambe per aria i processi Mills, Mediaset e Mediatrade.
Ma quello di ieri, se possibile, è stata l’ennesima prova di una maggioranza totalmente allo sbando, minata al suo interno e gravata da un’unica, vera urgenza oltre a quella di omaggiare ancora Berlusconi con una legge ad personam; andare in vacanza il prima possibile. Con Renato Schifani, presidente del Senato, vero regista di una grottesca commedia degli equivoci che ha fatto andare su tutte le furie il Pd e ha lasciato perplessa anche la Lega. In un primo momento, infatti, si è offerto di fare da garante del dibattito, evitando di contingentare i tempi, ma minacciando comunque di farlo se le opposizioni avessero tentato manovre ostruzionistiche. Poi, in sua assenza, il governo è arrivato a porre la fiducia, consentendo a Rosi Mauro, la pasionaria leghista che presiedeva l’aula, di chiudere di botto il dibattito che solo più tardi si è riavviato, ma con “solo delle anime morte, non più di una quindicina di senatori – racconta Pancho Pardi dell’Idv – che non avevano alcuna voglia di stare lì”.
È stato in questa atmosfera surreale, da “ottundimento dei sensi” (sono sempre parole di Pardi, ndr) che Felice Casson, ha sparato alzo zero contro la maggioranza: “Vorrei dare un consiglio agli avvocati di Berlusconi – ha detto l’ex pm di Venezia – anche se non ne avrebbero bisogno; di portarsi nei processi a Milano tutte le escort della città, quindi centinaia e centinaia di persone: possono star sicuri che con la nuova norma di legge il giudice non potrà assolutamente dirgli di no. Sia in Internet sia sulle pagine gialle se ne possono trovare centinaia e centinaia”.
Anche dell’Amn, che aveva parlato di normativa capace di “avere effetti devastanti, fino a rischiare la paralisi di tutti i procedimenti pendenti” ma a Montecitorio, a settembre, la strada del processo lungo si annuncia tutta in salita; Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera ha già detto che per lei è un provvedimento “inaccettabile”.
da Il Fatto Quotidiano del 29 luglio 2011