Per legge, insieme dalla materne alle medie. Istituti comprensivi, insomma per legge. Una delle modalità volute non tanto per migliorare la qualità del servizio scolastico, ma per risparmiare. Gli Istituti comprensivi erano stati inventati dall’ex ministro Luigi Berlinguer, con una precisa intenzione: rendere effettiva la continuità didattica nella scuola dell’obbligo. Un’ipotesi di lavoro d’avanguardia.
Questa modalità di aggregazione “in verticale” viene fortemente sostenuta con motivazioni di carattere pedagogico-culturale-didattico da coloro che hanno in mente un processo di riforma che unifichi la scuola di base, rompendo la storica “separatezza” tra scuola elementare e scuola media. Vale a dire: cominciare a “comprendere” all’interno dello stesso istituto scolastico i due “gradi” di scuola (che però dal punto di vista della normativa vigente continuano a rimanere tali e quindi strutturalmente distinti) in attesa di un progetto complessivo di riforma della scuola, considerato imminente o comunque possibile, che unifichi anche sul piano ordinamentale l’intera scuola di base.
I comprensivi intesi quindi come “passaggio intermedio”, testa di ponte verso una scuola di base unificata e unitaria, come vero e proprio “laboratorio” per l’innovazione. Una vera sfida che tuttavia doveva fare i conti con la disponibilità dei docenti di diversa orientamento (maestri e prof insieme), e con la necessità di un radicale aggiornamento degli operatori scolastici chiamati a forme di collaborazione raramente sperimentate. Sta di fatto che il progetto di Berlinguer ha fatto poca strada e fu di fatto messo fuori causa dal successivo ministro Letizia Moratti. Gli Ic superstiti hanno avuto vita grama. I docenti non li hanno mai amati. La definizione dei ruoli che maestri e prof dovevano assumere in questa operazione mai definiti. Ed ecco ora l’intervento della Gelmini con un imprevisto colpo di accelerazione per riportarli in voga. Purtroppo solo come operazione di risparmio. Maestri e prof costretti a lavorare insieme.
Ma con che possibilità di successo? Scarse, almeno per la qualità del servizio offerto agli allievi. Come ogni imposizione calata dall’alto senza alcun coinvolgimento di chi deve operare. Ancora una volta tutto importa alla Gelmini tranne che una buona scuola.