Tra i commenti al precedente post sulla riforma forense, un giovane avvocato senza una famiglia illustrata da lucide targhe di ottone, ovvero privo di protettori, ha raccontato non solo tutti i K2 che un laureato qualsiasi, nonostante il talento, deve scalare per arrivare a mantenersi con la professione, ma ha descritto benissimo una recente assemblea di quei patres (et matres) del foro che si sono opposti con tutte le loro forze a un intervento “liberalizzante” del povero Giulio Tremonti.
Vero, anzi verissimo. Conviene riparlarne.
E’ successo, come molti ricorderanno, che lo scorso 13 luglio il parlamento italiano, composto nel suo insieme di 315 senatori e 630 deputati, ha assistito a una sollevazione degna dei migliori giorni risorgimentali. Decine di eletti dal popolo (della libertà), per puro caso accomunati dallo stesso mestiere, e cioè l’avvocatura, si sono uniti come un solo uomo rifiutandosi di votare la manovra finanziaria se non fosse stato cancellato un emendamento con cui si intendeva ridimensionare il potere degli ordini professionali.
Grazie alla ribellione, rapida e decisa, di questo manipolo di arditi, l’emendamento sotto accusa non solo è stato ritirato ma non è neppure stato presentato, e in pratica non è stato visto da altri occhi che non fossero pidiellini. Per cui si può soltanto dire che – pare – consentisse di esercitare la professione di avvocato con la sola laurea più il praticantato. Ovviamente, stroncata la norma si son salvati anche gli altri ordini (notai, giornalisti etc).
L’episodio, pur ripreso da tutte le testate giornalistiche (vedi ad esempio il fatto quotidiano del 13 luglio, sezione politica & palazzo), merita un approfondimento quantomeno sotto il profilo lobbistico della materia.
Molti opinionisti hanno segnalato il peso abnorme che la casta forense esercita sulle decisioni parlamentari, e dunque legislative, in ragione dell’abnorme numero di deputati e senatori che i Boston Legal nostrani (nessuno tocchi il capitano Kirk-William Shatner, nei panni dell’assatanato leguleio repubblicano sul viale del tramonto, Denny Crane) sono riusciti a portare sugli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama.
Ma quanti sono davvero gli onorevoli avvocati o senatori?
Se volete saperlo, basta utilizzare i due siti. Palazzo Madama li propone alla voce statistiche all’interno del menù composizione, una sorta di Navicella on line. Allora, i senatori avvocati sono 47, di cui 26 appartenenti al gruppo del PdL. La nobile professione, come l’abbiamo chiamata, è quella esercitata dal presidente, Renato Schifani, ma anche da Carlo Giovanardi, da Piero Longo (difensore di Berlusconi) o da Giuseppe Valentino (sottosegretario alla giustizia nel II° e III° governo Berlusconi).
Fatta la fatica, tanto vale dare uno sguardo (molto generale) alle altre professioni presenti. Tanti i medici (forse per stare al capezzale della politica malata), tanti i giornalisti (ma non erano i cani da guardia del potere?), non certo isolati i docenti universitari, ma tantissimi soprattutto gli imprenditori e i dirigenti (questi ultimi sono la prima voce, con 50 senatori).
Alla camera, la ricerca è semplificata da un sito un pochino più frizzante dove qualcuno ha pensato (bene) di inserire una griglia a molte variabili sui deputati: partito, circoscrizione, titolo di studio e anche professione. Potete divertirivi da soli. Nel frattempo, vi anticipiamo che a Montecitorio gli avvocati sono 87, di cui 44 nelle fila del PdL. Fra di essi, oltre ai legali del presidente del consiglio, in carica, ex o aspiranti (Niccolò Ghedini, Gaetano Pecorella, Maurizio Paniz), vanno ricordati lo stesso Giulio Tremonti e il fido Marco Milanese, oltre ad altri ministri come Ignazio La Russa e Mariastella Gelmini.
Grazie a questo giochino, si può affermare senza ombra di essere smentiti che l’avvocatura è la professione principe per gli onorevoli. Seguono, a mezza ruota, i “dirigenti”, mestiere non meglio specificato, con 82 deputati; gli imprenditori con 76 parlamentari e i giornalisti con 61 posizioni (come sopra). Leggermente distanziati i docenti universitari (45), i funzionari di partito (41), i medici (30), gli impiegati (29). I magistrati sono 7 (erano, uno essendo Papa). E i mestieri meno nobili, più modesti ma produttivi? 4 operai, 3 artigiani, 2 paramedici e 1 agricoltore.
Eh sì, siamo una democrazia aristocratica, ma questa è un’altra storia e non è questo il momento in cui raccontarla.
Torniamo al nostro punto di partenza.
Sommando senatori e onorevoli, si arriva a 134 avvocati parlamentari, che rappresentano più o meno il 14% delle presenze nelle due camere. Se questa non è una lobby, c’è da chiedersi che cosa lo sia. Verrebbe voglia di invocare l’autorità garante della concorrenza. Per non parlare del conflitto di interessi interno, che coinvolge uno studio legale contro l’altro, o che coinvolge noi tutti, dal momento che alcuni di loro (inutile rifare l’elenco) prima scrivono le norme, poi le discutono come relatori in commissione giustizia, poi le applicano in tribunale in difesa dei propri clienti.
L’anno scorso, la senatrice Silvia Della Monica (Pd) presentò un emendamento al testo della riforma forense che proponeva la sospensione automatica dall’esercizio della professione per gli avvocati eletti in parlamento. Che cosa pensate che sia successo? Bordate da destra e da manca.
Ps. Se non ricordo male, a un certo punto anche il capitano Kirk-Denny Crane sogna di diventare senatore, ma alla fine preferisce i lauti guadagni da avvocato bostoniano. Da noi, si riesce sempre a tenere il piede in due scarpe.