Adesso è ufficiale, l’Europa può tornare ad avere paura. A una settimana di distanza dall’accordo salva Grecia – che ha certificato, per altro, il fallimento di quest’ultima – il Vecchio continente riprende a respirare in pieno il vento della crisi con il timore di un nuovo panico finanziario nel futuro prossimo. Mentre gli Stati Uniti restano bloccati in un impasse politica che rischia di determinare un default a breve termine, la crisi debitoria dell’Europa di periferia torna a ravvivarsi pericolosamente. L’agenzia Moody’s ha ufficialmente messo sotto osservazione la Spagna per un possibile declassamento del suo giudizio di rating. Di fatto, si tratterebbe eventualmente di un downgrade limitato a un solo “gradino” della scala di valutazione lungo la quale si è tuttora fermi al livello Aa2 (contro il “Ca” della Grecia, per intenderci). Ma tanto basta per lanciare i primi segnali negativi in Borsa.
Dopo aver iniziato male e proseguito peggio, le piazze continentali recuperano parzialmente nelle ultime ore chiudendo comunque in territorio negativo. Madrid, date le circostanze, tiene discretamente chiudendo con un -0,19%. Milano perde lo 0,67%, Francoforte lo 0,44, Londra cede lo 0,99% mentre Parigi fa segnare un meno 1,07%. I mercati, insomma, non reagiscono nemmeno troppo male, segno che ancora non si è scatenato il circolo vizioso tipico delle ultime settimane con i fondi speculativi impegnati a giocare al ribasso e gli Etf pronti a scappare. Un meccanismo ormai noto, che potrebbe anche concedere una replica nei prossimi giorni.
Non c’è dubbio che al momento l’attenzione di tutti si concentri su Madrid. L’annuncio di Moody’s, infatti, rimarca il peso di quei problemi irrisolti che attanagliano l’economia iberica. Un’economia cresciuta negli anni sulla spinta di una bolla immobiliare senza eguali nel Continente. Il settore si è gonfiato e le banche si sono esposte di conseguenza. Oggi il Paese assomiglia alla California, il punto di avvio della crisi globale. A settembre 2010, l’ammontare totale dei prestiti bancari problematici, ovvero difficili da recuperare, nei confronti del settore immobiliare era pari a 165 miliardi di euro. I prezzi medi della case sono fortemente ribassati, visto che nel mercato c’è un eccesso di offerta. Come se non bastasse, il sistema bancario spagnolo, caratterizzato da una forte presenza di piccoli istituti sottocapitalizzati, risulta tuttora esposto ai titoli sovrani più pericolanti (soprattutto portoghesi). Il debito pubblico resta basso, ma il deficit è in aumento anche per via della risalita dei tassi bancari e dei premi sulle obbligazioni statali. Infine, lungi dal rassicurare gli investitori, il piano salva Atene ha messo in difficoltà i privati esposti sulla Grecia (che sconteranno ora il default selettivo) creando, come spiega Moody’s, difficoltà maggiori nel reperimento dei finanziamenti.
Proprio quest’ultimo tema rappresenta una voce chiave per l’intero sistema. Con i bond decennali che segnano ormai un rendimento del 6%, fa notare il Wall Street Journal, i tassi caricati dalle banche nella concessione dei prestiti possono arrivare ormai anche al 10%. Un problema enorme per le grandi compagnie spagnole che, in un contesto economico depresso e caratterizzato da una crescita trimestrale non superiore allo 0,3%, non hanno possibilità di finanziamento se non attraverso il mercato, ovvero emettendo obbligazioni o contrattando un prestito con gli istituti. Il gigante delle comunicazioni Telefonica registra al 30 giugno un valore di mercato di 71 miliardi ma anche debiti totali di oltre 56. Un rapporto critico che colloca l’azienda nella Top Five delle società non finanziarie più indebitate del Pianeta. Banco Santander, spiega ancora il Wsj, ricorre a 120 miliardi di euro di finanziamento estero ogni anno. Perdendone 1,2 di profitti per la sola variabile dell’aumento degli interessi.
Comunque vada a finire, una cosa è ormai certa. Lo sbandierato effetto “decoupling” (sganciamento) è ormai tramontato. La Spagna, in altri termini, non sembra più in grado di separare i propri destini dai guai delle periferie europee. Con un tasso di disoccupazione che sfiora ancora il 21% e una prospettiva di crescita molto ridotta, il Paese è ripiombato in territorio critico riprendendo a seguire, sebbene ancora a distanza di sicurezza, il trend delle nazioni più martoriate come Grecia, Portogallo e Irlanda, beneficiarie di uno o più programmi di intervento esterno dimostratisi ad oggi del tutto inutili o quasi. Un problema, per altro, che in Spagna non si pone. Visto che reperire risorse sufficienti per soccorrere la quarta economia dell’area euro sarebbe semplicemente impossibile.