Parli male l’italiano? Espulso! Non conosci la Costituzione? Fai le valigie. Ignori la cultura civica del nostro Stato? Preparati a salire sul primo aereo. Se dovessimo applicare una simile normativa ai nostri connazionali, e magari agli esponenti politici, avremmo una densità di popolazione inferiore a quella dell’Islanda. E forse una classe dirigente dedita al bene comune e non ai bunga bunga notturni.
Purtroppo però, come al solito, le recenti leggi nel nostro Paese sono “ad personam“, “ad aziendam” e qualche volta “contra razzam“, come stabilirebbe “l’accordo di integrazione” tra i migranti e lo Stato italiano approvato dal Consiglio dei ministri e che da ieri è entrato in vigore.
Gli stranieri regolari, dopo due anni di permanenza nel nostro Paese dovranno dimostrare, con un test d’ingresso, di saper parlare la nostra lingua e aver appreso i valori alla base della convivenza civile. Lo Stato assicurerà la partecipazione ad una sessione di formazione civica di durata tra le 5 e le 10 ore (potrebbero assumere come docente Renzo Bossi alias “Trota”…) A quel punto scatta il sistema dei crediti: se si arriva a 30 hai diritto a restare in Italia, se scendi sotto questa soglia hai un anno di proroga, se resti a zero vieni rispedito a casa.
Il brillante provvedimento è opera del ministro Roberto Maroni, numero due di un Partito che, con la lingua italiana, la Costituzione e i valori della convivenza civile non ha proprio grande dimestichezza. Oltre a quel Mario Borghezio “fan” dei massacratori norvegesi il Partito di Bossi annovera tra le sue fila personaggi come Roberto Calderoli per il quale “Un paese civile non può fare votare dei bingo-bongo che fino a qualche anno fa stavano ancora sugli alberi”…
E se il test d’ingresso, con le conseguenti implicazioni di espulsione, lo estendessimo ai nostri governanti?