In fila alla cassa di un supermercato, caleidoscopio di scritte e colori, mi sono lasciato sorprendere dalla figura fra tutte meno appariscente, una donna di età avanzata, i capelli bianchi, il vestito modesto e il carrello vuoto. Faceva lentamente la spola fra i vari scaffali, guardando e, solo ogni tanto, allungando la mano per prendere una scatola o un barattolo, considerando l’oggetto, leggendone l’etichetta e poi, con la stessa lentezza, rimettendolo a posto.

A colpirmi è stata la sua espressione che non variava mai, le rughe orizzontali della fronte sopra lo sguardo lievemente smarrito e, sotto, le occhiaie di una vita. La mia impressione è stata di una persona che, nel fare la spesa, poneva il centro della sua vita sociale quotidiana. Basta poco per farci caso. Basta uscire dal ritmo innaturale e frenetico che ci illudiamo di imporci e indirizzare gli occhi verso colori meno vivaci, le orecchie verso suoni meno ruffiani, il naso verso odori meno seducenti per accorgersi delle due velocità della vita.

L’anziana ha preso l’ennesima scatola, una di quelle a marca sconosciuta che non fanno pubblicità e costano meno, ne ha letto tutta l’etichetta e, dopo un tempo indefinibile, finalmente, l’ha rimessa nel cesto. Questo ha fatto sembrare il suo carrello ancora più vuoto. Ho guardato il mio invece, assurdamente pieno, trionfante di prodotti, che sembrava voler umiliare quella miseria, e ho provato un motto di vergogna per quel confronto tanto involontario quanto inevitabile. Quella mia implicita espressione di potenza contrapposta al suo fingere di “potere” in un estremo e reiterato tentativo di illudersi e di apparire. La signora aveva uno sguardo indefinibile, non sereno e nemmeno rassegnato, sembrava bucasse gli scaffali irti di prodotti come se si misurasse da tempo con loro in una lotta senza impeto.

Vedere una persona che non può comprarsi da mangiare ma che, all’apparenza, non ne dà il segnale, la normalità dell’esclusione, è stata una martellata al cervello. Eppure da tempo sappiamo tutti che le pensioni sono troppo basse, che anche una persona che è stata attenta a non sbilanciarsi per tutta la vita ora difficilmente riesce a campare con dignità. Una dignità disattesa, anzi negata, e non solo dalla politica, ma anche o soprattutto dal sistema consumistico che ci avvolge e ci vede interessanti solo se consumatori. E quando non consumiamo più che accade? Qual è il percorso che si compie nel diventare un signor “nessuno”? Qual è la nostra reazione quando incontriamo un “nessuno”? Smettere di consumare è un implicito attacco al cuore della società consumistica, a quale razza di sovversivi andiamo ad appartenere quando smettiamo di consumare?

Quando è stato il mio turno alla cassa del supermercato, ho pagato e me ne sono andato. Non ho più rivisto quella signora, ho incontrato ancora quello sguardo però.

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