“Mi pare difficile che le parti trovino un accordo in tre giorni”. Lo dice il veterano democratico Tom Daschle, protagonista a metà anni Novanta della battaglia sul budget tra Bill Clinton e i repubblicani. Mentre i partiti preparano piani molto diversi di riduzione del debito, e Barack Obama non si stanca di lanciare appelli (“C’è ancora spazio per un accordo”, ha detto nel tradizionale discorso del sabato), sono sempre di più le voci che a Washington riflettono un cupo pessimismo. “Stiamo correndo un rischio inaccettabile”, spiega il Business Roundtable, un’associazione che raggruppa gli executives delle maggiori imprese del Paese.
In caso di default chi paga? Visto che la possibilità del default non è più soltanto una possibilità, il Tesoro americano mette comunque a punto da giorni un piano di emergenza. Se la mattina del 3 agosto l’America si svegliasse senza un accordo sull’innalzamento del tetto del debito, Obama e i suoi dovranno infatti porsi il problema di come tenere fede ai loro obblighi finanziari. In altre parole. Chi deciderà di pagare, Uncle Sam? I titolari cinesi di bond Usa? Gli stipendi degli impiegati federali? Gli agenti dell’Fbi? I beneficiari del Medicaid?
Andiamo per ordine. Dal 3 agosto a fine mese, hanno calcolato gli analisti, dovrebbero arrivare nelle casse del Tesoro americano 172 miliardi in tasse e altre entrate. Nello stesso periodo, il governo dovrà pagare 307 miliardi tra Social Security, pensioni ai veterani, interessi sui bond del Tesoro, sanità, salari, spese per infrastrutture e difesa. Questo significa, come spiega il Bipartisan Policy Center, un think tank indipendente con sede a Washington, che mancano all’appello più di 130 miliardi di dollari. Qualcuno verrà quindi pagato e qualcuno dovrà aspettare.
La lista delle priorità: in cima i proprietari del debito americano. Pur senza darne conferma ufficiale, il Tesoro ha già compilato una lista di priorità. A essere sicuramente pagati saranno i titolari di bond del Tesoro Usa, che siano pensionati della Florida, hedge fund di Londra o la Banca centrale cinese. Circa 29 miliardi di dollari andranno quindi in interessi ai proprietari del debito americano; una misura che Timothy Geithner, il segretario al Tesoro, ritiene indispensabile, se si vuole evitare un disastro globale per i titoli Usa e il declassamento del rating.
I pensionati. Restano quindi nelle casse 143 miliardi (e 278 miliardi da pagare). Chi saranno i prossimi beneficiari? Con ogni probabilità, i pensionati. Nessuno a Washington, né alla Casa Bianca né al Congresso, vuole vedere schiere di vecchi signori che protestano in televisione per non aver ricevuto la pensione. 49 miliardi se ne andranno nel mese di agosto in pagamenti per il Social Security.
Medicaid e Medicare, veterani e militari in servizio. Restano a disposizione 94 miliardi. 50 miliardi circa dovrebbero essere destinati alle spese di Medicaid e Medicare. Altri 3 miliardi sono certi per veterani e militari in servizio (anche qui, sarebbe politicamente suicida tagliare i loro salari). Rimangono 40 miliardi. Una coperta molto stretta, che dovrebbe coprire una lista infinita di cose: gli appalti per la Difesa (31,7 miliardi); gli assegni di disoccupazione (12,8 miliardi); i buoni alimentari per i poveri (9,3 miliardi); i programmi speciali dell’istruzione (14 miliardi); gli stipendi degli impiegati federali (14,2 miliardi).
Qualcuno, per forza, resterà a secco. Al momento, sembra che gli eventuali sacrificati saranno proprio gli impiegati federali. Alcuni verrebbero messi in aspettativa obbligata (proprio come avvenne con Clinton, nel 1995-96). Gli altri continuerebbero a lavorare, senza ricevere lo stipendio. “Ci hanno lasciato nell’assoluto silenzio, ma purtroppo è una possibilità”, commenta preoccupata Carol A. Bonosaro, che rappresenta 7300 dirigenti federali. E’ una possibilità così concreta che alle 4.44 di venerdì sera Kathleen Sebelius, segretaria alla sanità, ha salutato per il week-end i suoi dipendenti con una mail. “Siete attesi al lavoro lunedì”, ha scritto la Sebelius. In altre parole. Niente colpi di testa. Il lavoro continua, anche senza stipendio.