Per essere sicuro ha chiesto ai giornalisti presenti di dirgli “l’ordine cronologico di tutti gli atti terroristici sui treni”, che fedelmente ha trascritto. Arnaldo le manifestazioni se l’è fatte tutte: “in Val di Susa mi conoscono tutti”, racconta; al Dal Molin nemmeno a dirlo ci ha stazionato; e dal 1980 non ha saltato un 2 agosto: “sono trent’anni che porto la mia solidarietà a Bologna”. Ma soprattutto è stato protagonista di Genova. Della mattanza della Diaz, per la precisione: ne è uscito con 10 costole fracassate, una gamba rotta, trauma in testa e il braccio alla terza operazione dopo dieci anni. Referti clinici a confermarlo. “Io sono stato il primo a essere massacrato, e l’ultimo a essere ricoverato”, racconta Arnaldo, che ha anche testimoniato al processo.
“Ero li per la manifestazione, poi volevo andare al cimitero a trovare la figlia di una mia amica, per quello avevo deciso di dormire con i ragazzi. Ero il più vecchio. Il giorno prima avevano ucciso il giovane Carlo (Giuliani). A un certo punto sono entrati e ci hanno massacrato con i manganelli”. Con lui c’era anche Lorenzo Guadagnucci, che ha raccolto queste violente e indelebili esperienze in un libro (‘Noi della Diaz’) al quale l’autentico garibaldino contemporaneo ha partecipato. Ogni anno, Arnaldo torna a Genova “per tenere vivo il ricordo di questa ingiustizia”.
Continua a “battagliare” infaticabile “per i diritti degli altri”. E sorridendo timidamente ma con orgoglio aggiunge: “perché son vecchio fuori, ma giovane dentro”. Poi, tirando nuovamente su il cartello, mentre il corteo del due agosto gli fluisce silenzioso intorno, sottolinea: “Nella nostra Costituzione è scritto tutto. Basterebbe seguirla alla lettera, seguirla tutta. E non avremmo bisogno di niente”. Ma “questa è stata la nostra polizia, quella notte. Allora mi dico: se questa è democrazia, abbasso la democrazia”.