Non pochi italiani o stranieri stanno per andare in vacanza lungo le coste dell’Adriatico. E come al solito, oltre alla spiaggia affollata e chiassosa, al mare inquinato, alle zanzare,  dovranno temere di rinunciare a un buon piatto di pesce locale. Almeno stando a quanto riportano, negli ultimi giorni, giornali e siti internet: dal 1 di agosto fino al 30 settembre, lungo le coste dell’Adriatico, vige il fermo della pesca che è stato inserito nell’ultima legge finanziaria. È il cosiddetto fermo biologico “per permettere il ripopolamento delle specie ittiche sovrasfruttate e salvare le marinerie tricolori dal collasso per le reti sempre più vuote”, scrive la Coldiretti ImpresaPesca.

Da una ventina d’anni si ricorre al fermo estivo, ma stavolta è più lungo del solito. Il discusso ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Saverio Romano, ha commentato: “Avremmo bisogno, soprattutto in Adriatico, di fare un’operazione che porti a un fermo… che superi i tre mesi. Questo è l’unico modo per restituire pesce al nostro mare; non ne conosco altri”.

Di certo negli ultimi dieci anni c’è stato un dimezzamento della flotta dei pescherecci e del pescato, con conseguente aumento delle importazioni: nel 2010 ammontano a circa l’80% del pesce in commercio, come attestano i dati (che stanno per essere pubblicati e diamo in anteprima) dell’osservatorio annuale fatto dall’Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l’Acquacoltura (Irepa). Del 20% che rimane, oltre il 70% viene da acquacoltura, ossia pesce (ma più molluschi) di allevamento. Spesso nutrito con farine “ottenute per lo più da pesci di piccola taglia interi, comprese le viscere, ma anche dagli scarti industriali della lavorazione di prodotti ittici per omogeneizzati per bambini e per la gastronomia. Il risultato è che queste farine contengono il 60 per cento di proteine e il resto di grassi”, così dichiara Silvio Greco all’Espresso.

A guardar bene il decreto legge del fermo pesca, che dal 30 di settembre al 20 di ottobre scatterà invece nel Mar Tirreno e nello Ionio, “le interruzioni temporanee della pesca… riguardano le unità per le quali la licenza autorizza al sistema di pesca a strascico e/o volante. Cioè quelle che sono considerate più dannose e “impattanti”.

“Ormai prendersela con lo strascico fa chic” commenta Massimo Spagnolo, direttore dell’Irepa “ma ci sono altri sistemi di pesca come la rete monofilamento o la merluzzara che sono annoverate fra la piccola pesca, ma invece sono molto selettive e capaci di distruggere interi branchi. Quindi sono parimenti dannose. Del resto negli ultimi tempi si è fatto un gran casino sui sistemi di piccola pesca, così da indurre alla pesca in profondità che è molto peggio, in quanto elimina il pesce madre…”

“Non ci sono problemi di approvvigionamento locale” dice Mauro Uliassi, uno dei migliori chef d’Italia, che ha un noto ristorante a Senigallia “e comunque noi usiamo pesce del Tirreno e dello Ionio, che arriva in 12-24 ore al massimo. Ma com’è noto, il prezzo del pesce ha fortissime oscillazioni a seconda dell’offerta, e se è fresco costa di solito un 30% in più. Perciò i problemi maggiori ce li ha la ristorazione di medio e basso costo, che non si potrà permettere una spigola a 50 euro al chilo o i gamberi a 100 euro. Non dimentichiamo che il prezzo della materia prima in un piatto, di norma, non dovrebbe mai superare il 30% del costo: olio, sale, pepe e insalate inclusi”.

Ci si domanda dunque cosa troveremo nel piatto, pagando 15-20 euro? Pesce d’allevamento nel migliore dei casi? Scampi e triglie della Croazia, ossia dallo stesso mare Adriatico? Ma anche pesce spada dalla Francia,  semmai con elevata presenza di mercurio come appare non di rado nelle analisi dei laboratori di controllo? O troveremo vongole della Turchia, scampi dal Mozambico, gamberi dal Vietnam?

La situazione dei nostri mari è disastrosa, come è stato ben messo in rilievo da una puntata speciale di Annozero e da un’inchiesta di Repubblica la settimana scorsa. Il mare è morto, e non solo in Italia, come denuncia una ricerca dell’International Programme on the State of the Ocean (Ipso). Del resto, secondo la Fao “oltre il 75% delle riserve ittiche globali è sovra-sfruttato, mentre nelle acque dell’Unione Europea la percentuale sale all’88%. Invece,  secondo la Commissione per gli Affari marittimi e la pesca della Ue “è soggetto a sfruttamento eccessivo l’82% dello stock ittico nel Mediterraneo, il 63% nell’Atlantico”. La Commissione ha dunque presentato una proposta di riforma della Politica comune della pesca (Pcp), che è stata comunque stimata inadeguata dalle associazioni ambientaliste come Greenpeace e Ocean 2012.

“La politica dell’Unione Europea è non poco discutibile, oltre che costosissima…” dice Spagnolo. “Che senso ha vietare certi sistemi di pesca nel Mediterraneo, se si lascia che Tunisia e Marocco vadano a pescare nello stesso mare, lo stesso pesce spada, e magari con le barche o i sistemi che sono stati svenduti dagli italiani… E del resto si pensi al caso del tonno, alle cifre cospicue versate dal contribuente italiano per distruggere le barche che aveva finanziato pochi anni prima. Se non c’era la smania di distruggere queste barche, in fretta e furia, magari si poteva riutilizzarle per un altro scopo”.

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