Che siano le 14 e 30 del 5 agosto, che ci sia il sole, il caldo che scioglie i neuroni a bagnomaria; che in giro ci siano teli, costumi colorati che sbucano dalle canottiere di donne abbronzate, che dalle borse si intravedano creme solari e portapranzi pieni di pasta fredda, a me fa poca differenza. Così come gli sguardi preoccupati di chi alla domanda “dove andrai quest’anno?” mi vede rispondere con un sorrisetto tra l’ “indovina un pò” e il “in fondo – forse – non fa niente”.
Quest’anno infatti si lavora. Tutta l’estate, tutti i giorni. Nemmeno una pausa, il capo non può sentir pronunciare quell’orribile parola. Anatema: “Weekend”.
Il motivo in fondo è molto semplice, per me come per molti altri: il mio contratto non me lo permette. “Se non vieni, anche solo per un giorno, per me sei completamente inutile” mi è stato detto. “Probabilmente, se vuoi prenderti un giorno, forse non hai molta voglia di lavorare”, tanto per chiarire il concetto.
A detta sua, una generazione di lavative. Noi, che lavoriamo ogni giorno, senza ferie, permessi, malattie non contemplate e… di gravidanza nemmeno a parlarne. Asessuate, bioniche e onnipresenti (e aggiungerei onniscienti, dato l’articolato e complesso intreccio di formazione-università-corso-master-specializzazione, che molte di noi accumulano nella speranza di un lavoro che ci rispecchi, fedele al nostro abbozzo di progetto di vita). Ma a quanto pare, delle lavative.
Sarà, ma il fatto è un altro. C’è che quelle (almeno) otto ore consecutive di lavoro giornaliero, in piedi in un negozio, non mi danno nemmeno una minima indipendenza economica. Allora i lavori diventano due, tre. Nel mio caso arrivano a quattro.
La mia vacanza, la mia pausa, diventa il tempo per scrivere al pc.
E poi c’è la ricerca. Eh già. In tutto questo non riesco a mettere da parte il mio desiderio, che straripa e deborda aldilà degli orari di lavoro. C’è il dottorato, per il quale scrivo e studio nel sottoscala del negozio. C’è la politica, ci sono le mie relazioni con altre donne.
Il lavoro politico, con le Diversamente Occupate, è lì che ribolle. Passo lo straccio, pulisco gli scaffali, rispondo a chi mi chiede delle mie vacanze con la forza di quella relazione, che tento di allacciare anche all’interno del negozio e nel resto dei lavori che faccio.
Anche se qui, tra la regola “non si chiacchiera di lavoro, non si fanno le cose in due, non ci si aggiunge a facebook” e la scadenza del contratto sempre più vicina stringere relazioni sembra impossibile.
Eppure quelle sono le cose da non mettere da parte.
Cose che ti salvano.
di Federica Castelli – Diversamente Occupate