Originario dell’Asia, dell’India, dei deserti dell’Iran oppure dell’Africa (non si è ancora stabilita con esattezza la sua paternità), questo frutto piccolo e tondeggiante, dalla buccia beige simile ad un reticolo, scanalata da solchi che ne delimitano gli spicchi come un piccolo pallone da basket e dal dolce profumo intenso e zuccherino, è uno dei frutti più rappresentativi dell’estate ed è presente sulle nostre tavole da tempo immemore.
Il primo a parlarcene fu Plinio il Vecchio quando nel suo Naturalis Historia (I secolo d.C.), uniformandolo ad un cetriolo dalla forma di mela cotogna, documentava le prime esportazioni di meloni nel bacino del mediterraneo ad opera degli egizi nel V secolo a.C e del suo arrivo in Italia in età cristiana. Lo stesso Plinio identificava come popones, che tanto piacevano all’imperatore Tiberio, i frutti di quella pianta che i Greci chiamavano melo-pèpôn, della famiglia delle cucurbitacee, il cui frutto di grato sapore vuol essere mangiato in stato di perfetta maturità. Popone, termine ancora oggi in uso in Toscana per indicare il melone estivo, è conosciuto nel resto della penisola come melone di pane o semplicemente cantalupo, denominazione risalente all’epoca rinascimentale quando gli orticoltori laziali lo coltivavano per i Papi nella loro residenza estiva di Cantalupo vicino Roma. Ed è proprio il cantalupo una delle due varietà di melone estivo che potete trovare al mercato da luglio a settembre: cantalupo, appunto o zatte, dall’aspetto globoso con la buccia bitorzoluta e dai solchi ben marcati e una polpa di colore arancio-salmone molto profumata o il melone retato più ovale dalla buccia sottile e fittamente reticolata, con polpa giallo-verde o arancione e sempre molto profumata.
Rinfrescante ed energico è il tipico frutto da assaporare quando si accanisce la calura estiva, grazie al suo elevato contenuto d’acqua, di vitamina C e soprattutto di vitamina A, ma, come suggeriscono gli “esperti”, per una buona digestione è sconsigliabile bere acqua quando si mangia un melone.
A quanto pare gli esperti moderni non sarebbero i soli o i primi a dare un suggerimento del genere. Ai tempi di Papa Paolo II, che morì accidentalmente una sera d’estate, il 26 luglio del 1471, forse proprio a causa di una scorpacciata di meloni*, questi frutti erano visti con una certa diffidenza, nonostante fin dal medioevo tutta la frutta fosse considerata una golosità signorile.
Nell’antichità il melone era più piccolo e senza dubbio molto meno zuccherino di quello di oggi; si mangiava con pepe ed aceto, condito come un’insalata. “La freschezza e l’acquosità del frutto che ce lo fanno tanto desiderare nelle giornate di calura estiva”, scrive sempre il professor Montanari nel racconto tratto dal suo libro Il Riposo della Polpetta, “nel Medioevo erano valutate negativamente da un punto di vista dietetico: si pensava che questa frigidità minasse il calore naturale dell’organismo e sbilanciasse dalla parte del freddo l’equilibrio degli umori corporei”. Probabilmente questa avversione era legata al fatto che il melone fosse poco dolce e selvatico, i medici consigliavano di mangiarne pochi o di evitarli addirittura e se proprio si dovevano consumare era consigliabile “temperare la “frigidità” del frutto con il calore del fuoco e del vino”. Da qui potrebbe forse derivare l’uso tipicamente francese di accompagnare il melone con un bicchiere di vino dolce e forte o quello, tutto italiano, di servire il melone con il prosciutto.
In epoca diversa, anche Pellegrino Artusi, noto gastronomo italiano, ripropone nel suo trattato “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” per il menu d’agosto proprio questo antipasto, da accompagnare con del vino generoso perché, come dice il proverbio, quando Sol est in leone, Bonum vinum cum popone..
A questo punto non ci resta che accettare la dura realtà: melone e prosciutto saranno presenti ancora per molto tempo tra gli antipasti all’italiana. Se qualcuno però volesse consumare in modo diverso il profumato e dolce frutto, di alternative ce ne sarebbero, magari prendendo spunto proprio dal passato.
Dopo essersi accertati, al momento dell’acquisto, di avere fra le mani un melone maturo al punto giusto – percuotendolo con le nocche per verificare che produca un suono sordo, dopo aver osservato per bene la buccia affinché essa sia priva di ammaccature e macchie scure ed essersi assicurati, toccando le due estremità, che esse siano morbide, ma non molli – potete preparare una gustosa insalata di pasta.
Tagliate a spicchietti il vostro melone (una metà può bastare per quattro persone) e conditelo, in una ciotola, con sale, olio, il succo di un limone, un cucchiaino di pepe verde e uno di pepe rosa, macinati grossolanamente in un mortaio. Aggiungete dell’erba cipollina tagliuzzata fine e delle foglioline di menta e lasciate riposare. Lessate in acqua bollente e salata la pasta che più vi piace, basta che sia di un formato corto e, una volta scolata, fatela raffreddare interrompendo magari la cottura passandola sotto l’acqua fredda. Una volta raffreddata versatela nel recipiente con il melone e aggiungete del formaggio fresco, può andar bene del primosale o della feta greca, ridotto a dadini, e mescolate per bene. Lasciate insaporire per un po’ prima di servire.
Naturalmente, per rendere più stuzzicante il piatto, potete sostituire il formaggio con del salmone affumicato; lasciarlo invariato aggiungendo solo della pancetta tagliata a cubetti oppure, se siete degli inguaribili nostalgici… qualche dadino di prosciutto crudo.
*Il Riposo della Polpetta, Massimo Montanari, ed. Laterza, 2009