Nonostante l’inizio del ponte aereo per gli aiuti umanitari, un vertice straordinario del G20 e un summit della Fao, la situazione in Somalia continua a precipitare. Secondo funzionari del governo statunitense, negli ultimi tre mesi almeno 29 mila bambini sono morti a causa della malnutrizione e della carestia che colpisce il paese. Una crisi che scorre sotto traccia rispetto al default economico che da giorni tiene sotto pressione l’Italia e l’Europa.
Segnale inquietante della gravità della situazione è l’assalto avvenuto ieri a un convoglio di aiuti alimentari dell’Onu. Secondo il quotidiano somalo Mareeg, a Mogadiscio un gruppo di uomini armati ha assalito un camion delle Nazioni unite per impossessarsi del carico di cibo. Almeno dieci persone sono morte e altrettante sono rimaste ferite.
La carestia, peraltro, si sta estendendo. L’Unità di analisi per la sicurezza alimentare presso le Nazioni Unite (Fsnau) ha detto ieri che nelle prossime quattro-sei settimane la carestia si estenderà a tutte le regioni della parte meridionale del paese, colpite dalla più grave siccità dell’ultimo mezzo secolo. La Fsnau aggiunge in un comunicato che la carestia potrebbe durare “almeno fino a dicembre 2011”. Delle undici milioni di persone esposte al rischio di denutrizione in Africa orientale, 3,7 milioni sono in Somalia, con le regioni centro-meridionali del paese praticamente alla fame. Le milizie islamiste che controllano il territorio, gli Shabab, non hanno consentito l’apertura di corridoi umanitari per raggiungere le zone più colpite, come la regione lungo il corso meridionale del fiume Shabelle, dove l’Onu ha ufficialmente dichiarato lo stato di carestia lo scorso 20 luglio. Ieri due nuove regioni somale sono state aggiunte all’elenco di tre settimane fa.
“Nonostante un aumento dell’attenzione nelle ultime settimane, l’attuale risposta umanitaria rimane inadeguata – scrive la Fsnau nel suo comunicato – a causa soprattutto delle restrizioni di accesso, della difficoltà di aumentare l’assistenza di emergenza e della mancanza di fondi”. Un appello urgente alla mobilitazione è stato lanciato anche dalla Croce rossa internazionale, attraverso il suo presidente Jacob Kellenberger. La Fsnau aggiunge anche che ad aggravare la situazione c’è stato nel 2010 un fortissimo aumento del prezzo dei generi alimentari di base, in alcuni casi più che raddoppiato. Il 30 per cento delle famiglie somale, la fascia più povera della popolazione, non può più permettersi molti alimenti.
E mentre alcuni campi profughi per le persone in fuga dalla fame stanno sorgendo anche attorno alla capitale Mogadiscio, il segretario di stato statunitense Hillary Clinton è tornata a chiedere agli Shabab “di consentire la distribuzione di aiuti umanitari, per salvare quante più vite possibile”. Uno dei campi profughi della capitale, quello del quartiere di Badbado, è stato assalito e saccheggiato da un gruppo di uomini armati. Cinque persone sono morte, secondo il racconto di alcuni testimoni alle agenzie di stampa internazionali, in una sparatoria che ha opposto gli assalitori alle guardie armate che proteggevano le scorte alimentari del campo, che stavano per essere distribuite alle migliaia di persone lì ospitate dal Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu.
Un appello che per il momento sembra destinato a rimanere senza risposta. Anzi, il previsto vertice dell’Unione africana, che avrebbe dovuto decidere alcune misure concrete sia per l’assistenza ai profughi che per i fondi, è stato rinviato di due settimane rispetto alla data prevista del 9 agosto. Il tempo, però, gioca a sfavore dei somali, che a migliaia hanno lasciato il paese per cercare rifugio nei campi allestiti in Kenya e a Gibuti. Secondo l’Onu, almeno 1300 persone ogni giorno passano il confine tra Somalia e Kenya e presto anche nei campi profughi la situazione potrebbe diventare molto difficile da gestire.
Dal Kenya, inoltre, arrivano notizie preoccupanti. Secondo un deputato kenyano, John Munyes, della regione del Turkana, almeno 14 persone sono morte di fame in alcuni villaggi isolati del nord est del Kenya, non lontano dal confine con Etiopia e Somalia. Secondo Munyes, l’intervento della Croce rossa ha evitato che il bilancio fosse più grave, ma alla fame si sta sommando la rabbia perché gli abitanti di Turkana si sentono abbandonati dal governo centrale.
La siccità infatti non colpisce solo la Somalia, ma anche le zone nordorientali del Kenya e quelle sudoccidentali dell’Etiopia, oltre a Gibuti. Non si sa quale sia la situazione attuale in Eritrea, invece, perché il governo del presidente Isaias Afwerki non consente l’ingresso di Ong straniere e non sta fornendo informazioni.
di Joseph Zarlingo