“Non credo che la crisi si aggraverà e non dobbiamo essere spaventati che gli spread attuali possano mantenersi”, aveva dichiarato giovedì Silvio Berlusconi prima di rimandare tutto a settembre. Poi, a sorpresa e molto probabilmente cedendo alle pressioni di Stati Uniti e Germania, venerdì sera è stata convocata d’urgenza una conferenza stampa per presentare un piano di emergenza anti-crisi e spiegare che l’Italia è sul pezzo e l’Europa non deve temere. In realtà, ancora una volta, la montagna retorica del governo ha partorito il solito topolino. Le misure di emergenza assomigliano molto di più a palliativi improvvisati per prendere tempo con promesse e dichiarazioni ad effetto, mentre i problemi veri – come il mostruoso debito del paese e le riforme per rilanciare la crescita economica – sono stati solo sfiorati.

“La notizia più positiva che ci è stata data nella conferenza stampa è che la politica non andrà in vacanza questa estate”, ha spiegati ieri l’economista Tito Boeri su Repubblica. “Il Parlamento avrà molto da lavorare quest’estate”. Certo, anche l’anticipo di un anno (dal 2014 al 2013) dell’obiettivo di pareggio di bilancio è un risultato positivo, anche se, in una situazione come l’attuale si sarebbe potuto molto di più. Gli altri tre provvedimenti sembrano invece semplici spot televisivi in mondovisione per rassicurare i mercati e cercare di accontentare soprattutto Confindustria.

La riforma dell’articolo 41 della Costituzione sulla libertà economica, “la madre di tutte le liberalizzazioni”, come l’ha definita Tremonti, è solo un progetto di cambiamento di una norma senza piani concreti per realizzarla. “Il problema del nostro Paese è la mancanza di crescita delle imprese”, continua Boeri. “Non si aumenta la concorrenza a colpi di Costituzione. Sarebbe fin troppo facile”. L’altra riforma annunciata, quella dell’articolo 81 della Costituzione, che introdurrebbe il pareggio di bilancio come “obbligo costituzionale” (analogamente a quanto già accade in Germania), è stata accolta in modo positivo da molti analisti finanziari, anche se il suo valore – per ora – sembra essere solo simbolico. “E’ un segnale importante”, ha dichiarato Fabio Pammolli di Cermlab al Wall Street Journal. “Ora però abbiamo bisogno di vedere quello che il governo ha veramente in programma di fare per garantire un pareggio di bilancio nel lungo periodo”. Lo stesso vale anche per l’annunciata riforma dello Statuto dei lavoratori, di cui esiste un progetto del ministero del Lavoro, che ha però ancora un carattere generale e non prevede interventi concreti.

Il percorso sarà ancora lungo e bisognerà vedere se i mercati e gli investitori internazionali avranno la pazienza di aspettare. Anche perché, fino ad ora, mancano proposte chiare per la rapida riduzione dello stock di debito pubblico o per il rilancio della crescita. Nessuno ha parlato ancora di quante e quali privatizzazioni o liberalizzazioni saranno effettuate, nessuno ha detto se c’è un piano per ridurre le tasse sul lavoro, né se saranno toccate le pensioni. La crescita economica, l’unica veramente in grado di ridurre in modo sostenibile il rapporto tra debito e Pil, continua ad essere la grande assente nei progetti del governo.

Intanto la tempesta finanziaria che non dà tregua all’Italia sta investendo anche altri paesi europei. Da lunedì a venerdì tutte le borse europee hanno chiuso con pesanti perdite in quella che è stata “la peggiore settimana dal crack di Lehman Brothers”. La crisi dell’Eurozona assomiglia sempre di più al crollo dell’economia statunitense nel 2008. “I paralleli con l’autunno del 2008 sono molti e impressionanti”, ha scritto ieri Gillian Tett sul Financial Times. “Quando la Grecia ha iniziato a dare segni di cedimento molti politici e alcuni investitori hanno cercato di minimizzare, spiegando che la Grecia è troppo piccola rispetto ai mercati globali. Lo stesso si era detto nel 2008 di Lehman Brothers e Bearn Stearns, che erano considerati insignificanti rispetto alle dimensioni dell’economia americana. Quando poi sono iniziati i problemi si è cercato di mettere delle toppe, di attaccare dei cerotti con soluzioni di ripiego che hanno solo ritardato decisioni più importanti, pensando che l’unico problema fosse la mancanza di liquidità e non la solvibilità di banche e interi paesi”.

A dare segni di cedimento, oltre agli Stati europei più indebitati (come l’Italia) potrebbero essere presto anche le banche. Quel “sistema bancario reso sano e solido dalla alta propensione al risparmio degli italiani”, come ha spiegato Berlusconi nel suo discorso alla Camera. Peccato che le nostre banche abbiano in pancia quasi la metà dei titoli di stato italiano, il cui valore nominale declina di giorno in giorno. Ma non sono solo i titoli di debito a creare problemi. “Al diffondersi della paura sta ritornando un altro fantasma del 2008: i rischi sul finanziamento a breve delle banche”, continua il Financial Times.

Come ha evidenziato uno studio del Peterson Institute for International Economics, la struttura del sistema bancario nella zona euro avrebbe incoraggiato le istituzioni finanziarie ad essere “pesantemente dipendenti dai finanziamenti a breve termine”. Le 90 banche analizzate nel recente stress test dell’Eba (Autorità Bancaria Europea) devono rifinanziare 5.400 miliardi di euro di debiti nei prossimi due anni, che equivalgono al 45% del prodotto interno lordo dell’Unione Europea. Un obiettivo che, a queste condizioni di mercato, potrebbe diventare sempre più costoso e difficile da raggiungere.

“Le banche oggi fanno fatica a raccogliere capitale. I tassi italiani di approvvigionamento del denaro sono schizzati verso l’alto”, spiega al fattoquotidiano.it un analista finanziario che ha scelto di non essere nominato. “Ogni credito concesso sta diventando una perdita quando la banca si rifinanzia per coprirlo, perché dagli impieghi si ottengono tassi più bassi rispetto a quelli che si pagano sulla raccolta”. Come se non bastasse le banche europee (non solo quelle italiane) sono largamente sottocapitalizzate e moltissime sofferenze (nel settore immobiliare) non sarebbero ancora state registrate. “Alle sofferenze nascoste si aggiungono poi le perdite su titoli, per le quali si stanno attuando azioni di fantasiosa ingegneria finanziaria e modifiche della normativa relativa alla contabilizzazione”, continua l’analista.

L’aspetto più preoccupante di questa crisi, almeno per quanto riguarda l’Italia, potrebbe essere proprio la scarsa utilità delle misure di breve termine che saranno adottate per difendersi dai mercati. “Qualunque soluzione o provvedimento venga intrapreso, il risultato sarà probabilmente positivo a breve ma è lecito essere scettici sul lungo termine”, spiega l’analista finanziario. “Il debito si riduce solo con la crescita, che l’Italia non è in grado di generare. Qualunque provvedimento straordinario, come una tassa patrimoniale o un progressivo taglio dei costi, potrebbe migliorare le finanze pubbliche ma potrebbe peggiorare la situazione economica del paese riducendo investimenti e consumi”.

L’Italia, in poche parole, è alle corde. Per uscire dalla crisi dovrebbe portare al più presto il rapporto debito/pil dall’attuale 120% al 70/90% (e non al 113% entro il 2014 come annunciato da Berlusconi). Se non ce la dovesse fare tagliando i costi o aumentando le tasse, l’unica soluzione potrebbe essere il default o la “ristrutturazione del debito”. Una prospettiva che oggi sembra assai improbabile ma che gli operatori del mercato finanziario non si sentono di escludere del tutto.

Prima di alzare bandiera bianca – sempre che sia mai costretto a farlo – il governo tenterà il tutto per tutto, tagliando al massimo i costi e imponendo nuove tasse. Mentre Berlusconi chiude per ferie, per i cittadini italiani sta per iniziare una lunga e dolorosa stagione di “lacrime e sangue”.

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