Non porteranno stabilità i “quattro pilastri” annunciati da Berlusconi, Tremonti e Letta nella conferenza stampa imposta da Obama e dalla Merkel al governo italiano. Manca, infatti, qualsiasi idea per dare all’economia italiana qualche respiro di ripresa. Dopo la decisione di Standard & Poor’s di declassare il debito statunitense per la prima volta nella storia, incombe sui mercati una settimana all’insegna della paura. Forse i grandi correranno ai ripari con un vertice del G8, ma senza interventi contro la speculazione difficilmente la situazione potrà stabilizzarsi. Le Borse, si è sempre detto, anticipano l’economia reale e quindi i crolli inanellati nelle ultime due settimane dovrebbero sancire una nuova fase recessiva dell’economia mondiale. Più dell’affidabilità dell’Italia, che comunque conta molto, mancano strategie chiare per uscire da una situazione che richiede ricette completamente diverse da quelle messe in campo negli ultimi tre anni.
Dall’inizio dello scoppio della bolla immobiliare e del debito statunitense gli Stati hanno speso oltre 18mila miliardi di dollari (stima del Fmi) per evitare il default del sistema finanziario e creditizio mondiale. Tanto per capirsi hanno consumato una volta e mezzo il Pil prodotto dagli Stati Uniti in un solo anno (pari a circa 14.000 miliardi di dollari). Ma, dato che i soldi alla finanza sono stati dati senza porre nuove regole, i giochi sono continuati come prima, anzi più di prima grazie al costo del danaro pari quasi a zero. La Fed ha iniettato centinaia di miliardi di dollari (con la formula del quantitative easing, cioè del riacquisto di titoli in pancia di imprese e istituzioni finanziarie) ma non ha ottenuto gli effetti sperati in termini di ripresa dei consumi. Le famiglie statunitensi erano troppo indebitate per riprendere a spendere ai ritmi richiesti da un sistema profondamente malato come quello americano: oggi il Pil Usa dipende al 71% dai consumi interni delle famiglie ma tra disoccupazione e crisi dei mutui non c’è incentivo che tenga. Nonostante gli sforzi di Ben Bernanke e dell’amministrazione Obama gli Stati Uniti sembrano sull’orlo di una stagflazione che terrorizza gli investitori. Se il sistema economico occidentale batte in testa ovviamente diventa molto meno credibile qualsiasi intervento per ridurre i deficit pubblici.
Le Borse hanno sancito questo rischio, al netto delle gigantesche manovre speculative evidenziate con estrema chiarezza anche da un recente rapporto sul ruolo dei mercati finanziari paralleli a quelli ufficiali. Sui mercati regolamentati sono transitati 84,7 miliardi, pari ai due terzi del totale di 127,5 miliardi di euro scambiati tra il primo luglio e il 2 agosto sui 40 principali titoli dell’indice Ftse Mib. Il resto, 40 miliardi (il 31,5% del totale), è passato Over the counter, su canali di scambio fuori dei circuiti ufficiali, con contratti non standardizzati. Secondo Fidessa, multinazionale quotata a Londra che si occupa di piattaforme di trading e analisi di portafoglio, dopo Piazza Affari, gli scambi più consistenti (19,8 miliardi, il 15,5% del totale) sono transitati dal canale OTC di Euronext. Il mercato del gruppo New York Stock Exchange (Nyse) con sedi a Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona e Londra ha raccolto anche gli ordini di maggior valore medio (7,7 milioni di euro ciascuno): è qui insomma che hanno lavorato i grandi operatori. Piazza Affari è invece terreno di gioco dei piccoli risparmiatori, con un controvalore medio unitario degli ordini pari a 12.400 euro circa.
Altri 17,1 miliardi sono passati sui circuiti Otc di Boat, piattaforma di trading del gruppo Markit utilizzata da una quarantina di case d’investimento (BofA Merrill Lynch, Barclays, Bnp Paribas, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Hsbc, Ing, JP Morgan, Morgan Stanley, Rbs e Ubs per restare solo alle maggiori). Qui il controvalore medio dell’ordine era di 51.500 euro circa. È stata invece di 1,9 milioni la media del valore unitario degli ordini smistati sui circuiti Otc del London Stock Exchange (del gruppo Lse fa parte la stessa Borsa Italiana), che ha accumulato trading per 1,1 miliardi, lo 0,89% del totale. Tra gli altri mercati regolamentati, 12,5 miliardi sono arrivati da Chi-X, la piattaforma controllata da Nomura, con ordini medi per 5.570 euro. Altri 4,7 miliardi (5.400 euro per ordine medio) sono transitati da Bats Europe, l’Mtf recentemente acquisita da Chi-X. L’altra principale Mtf, Turquoise (gruppo Lse), ha raccolto ordini per 2,6 miliardi circa. Nulla sappiamo però su chi abbia incassato i maggiori profitti dal trading sui 40 principali titoli di Piazza Affari. Come a dire che se questi mercati fossero sospesi definitivamente, come chiede oggi anche Paolo Panerai direttore ed editore di Milano Finanza, avremmo un fattore di disturbo e danno in meno.
di Andrea Di Stefano