Dopo averci provato con Roma, il capo della F1 è in trattativa con alcuni referenti politici della Grande Mela. E' una questione di business. O forse un'altra delle originali iniziative del signore del circus automobilistico
Le gare della Formula Uno convincono sempre meno perché i sorpassi si contano sulle dita di una mano e lo spettacolo tende allo sbadiglio? Nessun problema, ecco l’idea: si faccia piovere durante la corsa. Ma senza avvisare per tempo team e piloti, che altrimenti la sorpresa va a farsi benedire e pure lo spettacolo ne risente. E ancora, si vogliono ridurre le emissioni inquinanti delle vetture da corsa, bolidi da 300 e passa chilometri all’ora? Ok, si proceda pure a proporre soluzioni, ma a patto che le auto rinuncino al rumore assordante del loro motore. Perché chi segue la Formula Uno vuole sentire il nitrire dei cavalli al galoppo: fa sangue, fa arena, fa show. Bernie Ecclestone, ottantenne in splendida forma originario della contea di Suffolk in Inghilterra, sta alla Formula Uno più o meno come Joseph Blatter sta alla Fifa, il massimo organismo del calcio internazionale. Lui propone (meglio, suggerisce a voce grossa) e comanda, gli altri eseguono. E questo va avanti più o meno da quarant’anni, da quando cioè mister Bernie decise di fare suoi i diritti televisivi delle gare della massima competizione mondiale in ambito di motori, accumulando così tanto denaro da entrare nella classifica degli uomini più ricchi della Gran Bretagna.
Ecclestone è un istrione, un mammasantissima dei motori e di tutto quello che gli gravita intorno, biglietti verdi sopra tutto e sopra tutti. Le sue idee sono saette, cadono e infiammano la fantasia degli addetti ai lavori, perché il leader maximo della Formula One Management, della Formula One Administration e della Formula One Constructors Association, soltanto per rimanere nell’ambito delle corse, non è abituato a lasciar cadere nel vuoto le proprie parole. Che talvolta sono pure provocatorie, date in pasto alla stampa per ottenere promozione a costo zero, ma in altri casi sono riflessioni che fanno strabuzzare gli occhi da quanto sembrano essere divertenti e folli nelle loro (im)possibili applicazioni nella realtà.
Volete sapere l’ultima? Ecclestone è in trattativa da qualche tempo con alcuni referenti politici di New York e dintorni per portare il circus della F1 nella Grande mela. Proprio così, tutto vero. Da quelle parti starebbero valutando l’ipotesi di chiudere il traffico in città per un giorno o quanto serve per permettere ad Alonso e colleghi di sfrecciare con le loro monoposto sulle strade che hanno fatto grande il cinema americano. Questione di business, è chiaro, che potrebbe portare tanto di quel denaro nelle casse degli uomini d’affari a stelle e strisce da fare il possibile e pure di più per sistemare le noie con chi dirà, e non saranno pochi, che fare una cosa simile vorrebbe dire mandare al diavolo i diritti dei milioni di abitanti che vivono e lavorano a NY.
Non è ancora stato firmato nulla e per il momento non v’è certezza alcuna. Ma se accadesse, non sarebbe una novità assoluta. Già, perché a parte Indianapolis, circuito che ha ospitato 19 gare della Formula Uno, un’istituzione per chi mastica di macchine e di motori, nel 2012 dovrebbe fare il suo debutto nel circus l’impianto texano di Wandering Creek, dalle parti di Austin. Nella patria del petrolio, una pista che nasce con il medesimo intento delle altre: coinvolgere e appassionare i tifosi, ma anche e soprattutto produrre denaro. Ci avevano già provato a Roma, qualche mese fa. Alemanno voleva portare nella capitale i motori che fanno tanto rumore e che piacciono tanto al loro boss, ma l’idea è stata messa da parte perché pare che non siano state trovate le garanzie economiche sufficienti. Almeno per il momento.