«Sognavo di andare a scuola, imparare un mestiere e sposarmi. Nulla di complicato. Ma la vita aveva altri piani». Gloria Erobaga ha ventiquattro anni e, dopo due anni sulle strade italiane come prostituta, è stata rimpatriata a Benin City, in Nigeria. Oggi, grazie all’aiuto di una Ong locale, gestisce un piccolo negozio a un’ora dal suo villaggio natale, nei dintorni di quella che è considerata la nuova capitale del traffico di donne per sfruttamento sessuale. In questo giorno piovoso, che inzuppa le strade battute dei dintorni di Benin City, Gloria racconta di essere una sopravvissuta, che all’epoca si è fatta convincere «perché mi promettevano un lavoro onesto. Ma la vita sulla strada faceva molta paura. Loro giravano continuamente per controllarci, per raccogliere i soldi e per uccidere le ragazze che non pagavano. So di donne nigeriane che in Italia sono state uccise, tagliate e gettate in sacchi neri, così, come spazzatura» spiega con un filo di voce.
Ma per una donna che si salva, molte altre invece rimangono intrappolate in quello che in Nigeria è diventato il terzo crimine per diffusione. L’UNODC, agenzia ONU per la lotta al crimine organizzato, ha rilasciato numeri scioccanti: oltre 6,000 donne nigeriane vengono trafficate ogni anno in Europa a scopo di sfruttamento sessuale, per un giro d’affari annuo di oltre 228 milioni di dollari.
«L’organizzazione di questo traffico è, a suo modo, perfetta» spiega Igri Edet Mbang, ufficiale dell’unità di intelligence nigeriana di NAPTIP, l’agenzia nazionale per il contrasto al traffico di esseri umani. «Hanno quelli che chiamano agenti, i trolleys e le madam. Gli agenti hanno il compito di reclutare le vittime. Le conoscono. Conoscono le loro famiglie, la loro storia e il linguaggio giusto per ingannarle».
La chiave di tutto sono le madam. Sono loro lo snodo principale per lo sfruttamento. Sono loro a costringere le ragazze a lavorare in strada o in appartamento, sono loro a chiedere i soldi quotidianamente e, allo stesso tempo, a dover provvedere alla casa e a risolvere eventuali controversie. Le madam sono ovunque a Benin City e contattarle non è difficile. L’ultimo arresto in ordine di tempo ha portato alla luce un traffico di donne organizzato da donne più anziane, in diretto collegamento con l’Italia. Filmata con telecamera nascosta da un agente sotto copertura, la madam, una donna residente proprio nella capitale dell’Edo State, spiegava che nulla era possibile senza di lei. «Ho il contatto giusto in Italia. Questo è il business vero, dove si guadagna, il resto è tutto una copertura. Però voglio solo ragazzine inesperte e, soprattutto, è necessario esaminare la spiritualità della ragazza, prima di procedere».
Perifrasi che spiegano il lato più sinistro del traffico di donne nigeriane. La schiavitù psicologica imposta dal rito voodoo, chiamato juju, un rito tradizionale che oggi è utilizzato per creare un legame tra la vittima e i trafficanti. Le donne, sottoposte a un giuramento durante il quale donano peli pubici, sangue e indumenti intimi, vengono portate da santoni della religione tradizionale, disposti a celebrare il rito previo pagamento di «40,000 Naira (circa 190 euro, ndr)» come spiega il santone Osabuohien mentre mostra una fila infinita di bottiglie utilizzate per il rito, celebrato all’interno di una piccola capanna stipata di feticci e pietre imbrattate di sangue.
Ma quella che a prima vista può sembrare un’organizzazione in grado di esistere solo nei confini nigeriani, si sta espandendo a vista d’occhio in Italia, che, secondo le stime più recenti di UNICRI, centro di ricerca delle Nazioni Unite, è al momento la principale destinazione di oltre 10,000 prostitute nigeriane, trafficate da Benin City fino alle grandi città e agli hub criminali, in particolare lungo il litorale domitio, a Castel Volturno.
Ed è qui, tra l’assembramento di case che compone i “ghetti” di Pescopagano e Destra Volturno, un tempo residenza estiva per i turisti napoletani, circondato da fiori e adagiato in riva al mare, che una nuova organizzazione criminale ha trovato terreno fertile per il proprio business. Qui, la criminalità nigeriana, ormai emancipata dal controllo dei Casalesi, ha importato la propria malfamata esperienza nel traffico di uomini, donne e droga.
La prostituzione è l’espressione più evidente del malessere di parte della comunità migrante, ma anche di una nuova geografia criminale che si sviluppa lungo la Domitiana e le sue arterie. «Vi sono diverse aree in prevalenza abitate da migranti, ma le attività delle nuove mafie africane hanno invaso l’intero territorio, non solo alcuni quartieri» spiega Stefano Ricciardiello, ispettore della sezione investigativa del commissariato locale, una piccola sede un po’ scalcagnata e sommersa di fascicoli vecchi e nuovi, aperti per omicidi efferati, rimpatri e per qualche italiano in domicilio forzato. È lungo le arterie di campagna che connettono il litorale con l’interno, che, una dopo l’altra, si avvicendano ragazzine minorenni e donne in attesa di clienti.
«Ci sono tantissime ragazze nigeriane che lavorano a Castel Volturno» afferma Ricciardiello. «Così tante che molte lavorano fuori del comune di Castel Volturno, perché non c’è spazio per tutte».
Ma se sui numeri c’è incertezza, in Italia e a Castel Volturno c’è chi, dall’interno, cerca di tenere il polso della situazione.
Isoke Aikpitanyi, ex vittima di tratta oggi principale punto di riferimento per le donne nigeriane in Italia, conosce bene la realtà del casertano. Secondo i dati dell’associazione ex vittime, «in Italia ci sarebbero al momento circa 10,000 madam, in controllo di due/tre ragazze a testa» spiega Isoke sotto il sole cocente del litorale.
Ma, come spiega Isoke, il trend più sinistro non è solo la penetrazione di questo traffico e la ferita che l’uso distorto delle tradizioni ha lasciato all’interno della comunità. «Le ragazze qui si confidano con i pastor delle chiese pentecostali, pensando così di scampare ai santoni, ma questi spesso sono conniventi con i gruppi criminali. Sono il braccio destro della madam,» afferma Isoke. E in un luogo come Castel Volturno, dove nuove chiese pentecostali dall’Africa Occidentale nascono ogni giorno, c’è di che preoccuparsi. «Come accade anche nelle chiese italiane, ci sono molti pastor che non fanno certo gli interessi spirituali dei credenti. Fanno altro,» spiega Ricciardiello «come abbiamo provato da alcune inchieste, le chiese sono i luoghi privilegiati d’incontro e quindi anche luogo dove discutere e gestire anche le attività illegali».
Un incrocio di sacro e criminale, che soffoca le ragazze vittime di tratta in un circolo perverso di paura. Giulia (nome di fantasia per motivi di sicurezza, ndr) lavora ancora sulle strade di Castel Volturno ed è costretta a ripagare il debito di circa 40,000 euro. «E devi farlo, perché se non lo fai possono creare dei pupazzi che ti fanno impazzire» spiega durante il nostro incontro nel cuore della notte. Sospira a lungo, Giulia, prima di continuare a parlare. «Non sono felice. Non sono felice di me stessa, del mio corpo e di questo lavoro. Ma ho un progetto, ho promesso di pagare. Devo farlo. Ma fermiamoci qui» dice con occhi sgranati e fermando le parole anche con i pugni stretti. «Non posso parlare. Non posso. È troppo pericoloso parlare di questo, anche per la mia famiglia. Ma lasciami dire una cosa: sto portando una croce per loro, proprio come fece Gesù Cristo».
E in questo territorio che è il fortino del potere casalese, la nuova onda del crimine africano ha investito, oltre che l’antimafia di Napoli, anche la squadra speciale anticamorra. «I criminali nigeriani», interviene Giovanni Conzo, procuratore antimafia della Dda di Napoli, uno dei magistrati che meglio conosce la frontiera domiziana, «stringono accordi con tutti, dai colombiani ai cinesi, ma in Italia trovano terreno fertile anche per altri motivi: l’altissima richiesta di prostitute da parte dei maschi italiani». Il risultato? «L’organizzazione sul territorio è sempre più potente. Andrebbe fermata prima che ne assuma il controllo totale». Alessandro Tocco, vice questore di Caserta e dirigente della sezione speciale anti-Camorra di Casal di Principe rincara la dose: «Il crimine nigeriano è in crescita e questa cosa ci preoccupa: dopo la strage compiuta da Giuseppe Setola, tutto tace. Ci sono state trattative. Ora probabilmente c’è una pace tra italiani e mafia africana. Ma quando questa pace salterà, avremo una nuova guerra di mafia per le strade di Castel Volturno».
di Chiara Caprio
Per approfondire: vedi il promo del documentario in due puntate “The Nigerian Connection” in onda mercoledì 10 e 17 agosto su Al Jazeera English