“Il problema del mondo futuro è la crescita. Le politiche di austerità sempre più violente, che si stanno imponendo solo per paura delle agenzie di rating, possono solo peggiorare le cose”. L’economista francese Jean Paul Fitoussi non nasconde neanche in queste ore la sua verve polemica nei confronti dei rigoristi colpevoli di portare l’Europa verso il baratro di una seconda recessione.
Professore, il rischio di un double dip, cioè di una seconda recessione dopo quella che ha colpito duramente nel 2008, è quindi reale?
“Diciamo che allo stato siamo al 50% di probabilità. Ma vorrei sottolineare che a mio parere non si tratterebbe di un double dip ma di un evento molto più grave e devastante perché in realtà siamo ben lontani dall’aver recuperato i livelli del 2007. Quindi, se dobbiamo seguire le analisi economiche, che trovano interpretazione in alcune lettere per esemplificare l’andamento degli indici del Pil, non possiamo dire di essere di fronte ad una W (double dip: tipo di recessione in cui l’economia sembra riemergere da una lunga crisi ma poi precipita una seconda volta, ndr). Ma molto più probabilmente di fronte al rischio di una depressione”.
Quali ricette si dovrebbero, invece, mettere in campo?
“Le misure europee per affrontare la crisi sono state insufficienti e tardive e se l’Europa non si organizza rapidamente si va verso la catastrofe. E’ invece il momento di usare la bomba atomica e dire chiaro e tondo ai mercati che se vogliono mettersi a giocare contro di noi sono destinati a perdere. Invece finora è accaduto il contrario: abbiamo fatto di tutto per far capire ai mercati che se si mettono contro di noi vincono di sicuro, abbiamo alzato le braccia e dichiarato ai quattro venti che non abbiamo né armi né strumenti per contrastarli. Basta vedere l’effetto positivo prodotto dal semplice annuncio che la Bce avrebbe acquistato un po’ di titoli italiani e greci: lo spread si è immediatamente ridotto e la speculazione si è allontanata. Ovviamente fare questi interventi non basta: bisogna passare dalle parole ai fatti e mettere in campo strumenti per la crescita e la lotta alla disoccupazione”.
Questo significa parlare di Eurobond?
“Esattamente. Sono più di cinque anni che sostengo in tutte le sedi che l’Europa deve dotarsi delle risorse finanziarie per investire laddove dice di volersi strategicamente muovere, cioè l’economia del sapere, della creatività, delle politiche ambientali. Oggi si parla di Eurobond solo in funzione anticrisi, cioè titoli europei che sostituiscano quelli emessi dagli Stati sovrani in difficoltà. Ma questo è solo un intervento tattico e posso comprendere che possa suscitare qualche preoccupazione in Germania, dove rischia sempre di prevalere la preoccupazione che i tedeschi siano chiamati a pagare le pensioni ai greci o agli italiani. Io penso invece a titoli specificatamente rivolti alla costruzione di infrastrutture per il rilancio dell’economia europea e per stimolarne la sua competitività in un sistema globale. Risorse che possono assicurare ottimi rendimenti di lungo periodo”.
Un terreno sul quale, però, si dovrebbero raccogliere abbastanza facilmente consensi?
“Certo, se si riesce a superare una gravissima dicotomia tra come ragionano i mercati e la politica e come, invece, bisogna agire per sostenere una crescita a lungo termine. I mercati hanno obiettivi a brevissimo termine. La politica, purtroppo, sempre più a breve termine, mentre noi abbiamo bisogno di visione e prospettive a lungo termine per favorire quel cambiamento di paradigma economico che non si ottiene senza risorse e senza tempo. Una normale gerarchia di valori esige che il principio economico sia subordinato alla democrazia, e non il contrario. Ora, i criteri generalmente utilizzati per giudicare la bontà di una politica o di una riforma sono criteri di efficacia economica. A mio parere, la democrazia di mercato presuppone una gerarchia tra sistema politico e sistema economico e, dunque, un’autonomia della società nelle scelte di organizzazione economica. La democrazia non è solo un regime politico, ma anche un valore. Mentre il mercato è un mezzo che, per ora, si è rivelato compatibile con essa”.
di Andrea Di Stefano