Tra gli azionisti di Standard & Poor's, Moody's e Fitch ci sono gli stessi grandi investitori che non esitano ad attaccare Stati e imprese quando si diffondono voci su possibili downgrade. Le valutazioni sono affidabili? Lehman Brothers ha continuato ad avere il rating "A" fino al 15 settembre del 2008, il giorno del suo fallimento
Sarkozy torna dalle vacanze. In giro circolano voci che anche la sua Francia sarebbe pronta a perdere la tripla A, il voto più alto assegnato dalle agenzie di rating. “La Francia sente la pressione sugli obiettivi del debito pubblico”, titolava ieri il Financial Times. “I mercati sono alla ricerca del prossimo paese che potrebbe perdere la tripla A”.
Venerdì scorso il declassamento del debito – per la prima volta nella storia – era toccato agli Stati Uniti, costretti a scendere di uno scalino da AAA a AA+, secondo la valutazione di Standard & Poor’s (S&P). Tre giorni fa Barack Obama è intervenuto per ribadire che “l’America è, è stata e sarà sempre” un paese da tripla A. Il tesoro americano ha anche evidenziato gravi errori di S&P nelle proiezioni sul debito USA. Ma non c’è stato verso: i mercati hanno cominciato a sparare contro gli Stati Uniti.
Il 16 giugno scorso i riflettori erano stati puntati da un’altra agenzia di rating, l’americana Moody’s, sull’Italia. Il rating Aa2, che corrisponde all’AA di S&P (due gradini sotto la tripla A), era stato confermato, ma con molte riserve e il nostro paese era stato posto sotto osservazione per un possibile futuro declassamento. L’uscita di Moody’s era stata anticipata a fine maggio da una decisione analoga da parte di Standard & Poor’s.
I destini economici di interi paesi e delle imprese che si indebitano emettendo obbligazioni pendono dalle labbra di tre agenzie di rating: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch. Una loro decisione negativa può far alzare il costo dell’indebitamento di miliardi di euro e scatenare il tiro al piccione in borsa da parte di fondi, assicurazioni e banche. Ma quanto sono affidabili le tre sorelle del rating e chi le controlla?
Per chi ha la memoria corta la prima domanda trova una rapida risposta semplicemente ricordando due semplici fatti: ancora nel luglio del 2007 moltissime obbligazioni strutturate basate su pezzi di mutui subprime erano considerate “tripla A” da buona parte delle agenzie. Prodotti a rischio minimo, paragonabili ai titoli di Stato. Solo un mese dopo si sono trasformati negli insaccati finanziari che ben conosciamo: carta straccia che pesa ancora sui bilanci delle banche, nonostante numerose operazioni di “cosmesi contabile”. La stessa banca Lehman Brothers ha continuato a mantenere il rating “A” fino al 15 settembre del 2008, il giorno del suo fallimento, mentre alcuni prodotti di Lehman, come i derivati e i fondi, erano valutati addirittura con la tripla A, al pari dei Bund tedeschi.
La questione del controllo è più complessa da risolvere. S&P’s e Moody’s sono ad azionariato diffuso: le azioni sono in mano “ai mercati”. A chi in particolare? Partiamo da Standard & Poor’s, che è una divisione del colosso americano dell’editoria e dell’informazione Mc Graw Hill. La schermata di Bloomberg sulla società ci informa che il 100% del capitale è “flottante”, disponibile alla negoziazione sui mercati. Tutti possono comprare tutte le azioni della società, ma alcuni investitori ne hanno già in portafoglio percentuali molto rilevanti. Capital World Investors, il primo azionista e uno dei primi gestori indipendenti di fondi negli Usa, ha il 12,45%. Seguono altre società di asset management come State Street (4,39%), Vanguard (4,22%), BlackRock (3,89%), Oppenheimer Funds (3,84%), T. Rowe (3,36%), un gestore “activist” di fondi hedge come JANA Partners (2,95%), e Ontario Teachers’ Pension Plan Board, il fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario, con il 2,27%. Il signor Mc Graw (Harold III) mantiene invece una quota del 3,96% ed è presidente e amministratore delegato della società. In consiglio di amministrazione siedono anche Sir Winfried Bischoff del Lloyds Banking Group, professori universitari, presidenti o ex amministratori di società come Coca Cola, British Telecom ed Eli Lilly e altri esponenti del mondo finanziario.
L’analisi degli azionisti di Moody’s dà più o meno lo stesso risultato: la società è controllata da grandi investitori finanziari e colossi dell’asset management. In testa a tutti, con il 12,42%, c’è Berkshire Hathaway di proprietà di Warren Buffett, “l’oracolo di Omaha”, uno dei più ascoltati e controversi investitori americani. Buffett, che il 30 agosto compirà 81 anni, è il terzo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di 47 miliardi di dollari, ma nel 2008, grazie al balzo in borsa di Berkshire Hathaway e a una serie di investimenti azzeccati, è saltato addirittura al primo posto, superando Bill Gates. Dopo Buffett tra gli azionisti di Moody’s c’è ancora Capital World Investors (12,33%) e quindi il gestore ValueAct Capital (6,06%), e di nuovo T. Rowe (5,92%), Vanguard (3,35%), State Street (3,35%) e BlackRock (3,27%). Una quota dell’1,81% è detenuta da TIAA-Cref (1,81%), fondo pensione di insegnanti e accademici americani. Nel consiglio di amministratore di Moody’s siedono ex dirigenti in pensione di big del mondo bancario come Citigroup e ING, professori di finanza ed ex direttori di grandi corporation americane. Il presidente e direttore generale è Raymond Mc. Daniel Jr, che ha iniziato a lavorare per Moody’s nel 1987.
Fino a qui il messaggio è chiaro. Standard & Poor’s e Moody’s, le maggiori società di rating del mondo, che con un downgrade possono scatenare reazioni a catena nei mercati e portare a scelte politiche con pesanti effetti economici e sociali, sono controllate dagli stessi grandi investitori che non esitano ad attaccare Stati e imprese quando si diffondono anche solo voci su possibili tagli dei rating. Nonostante S&P’s e Moody’s non smettano di rimarcare la loro indipendenza dagli azionisti e l’estrema rigorosità delle loro metodologie, fino a che punto possono essere definiti “indipendenti”?
Il quadro si completa con Fitch, che spesso svolge la funzione di arbitro tra S&P’s e Moody’s. La terza sorella del rating è anche la più piccola e l’unica non americana. E’ controllata (al 60%) dalla finanziaria francese Fimalac, fondata e diretta da Marc Ladreit de Lacharriere, un imprenditore francese di 71 anni, che “dopo aver passato l’infanzia nel castello di famiglia” è stato dirigente e amministratore di numerose società francesi come L’Oréal, Crédit Lyonnais, Air France e France Télécom. Oggi siede nel board di Casino, L’Oréal e Renault, è membro del Comitato Consultivo della Banca di Francia e, per gli amanti della teoria del complotto, presidente della sezione francese della Bilderberg.
Ieri, mentre si stavano diffondendo insistentemente le voci su un possibile downgrade della Francia, Fitch è uscita per prima confermando il rating tripla A della Francia, con un outlook stabile. Che si tratti di un caso?
(ha collaborato da Parigi Yves Hausmann)