Nelle tiritere che il circo di Arcore ci ha propinato durante il passato ventennio di dominio culturale (e non solo), uno dei ritornelli più frequenti è stato senza dubbio quello intitolato ai giudici scansafatiche. Nessuno nega che, nei tribunali italiani, alloggino non pochi (e tra poco li quantificheremo) amanti dell’ozio. Molti di noi, fra l’altro, sono stati portati a ritenere che le mostruose lentezze della giustizia, e in particolare quella civile, siano da attribuirsi principalmente alla scarsa presenza dei magistrati negli uffici dove dovrebbero giudicare le nostre cause. Il luogo comune è stato poi cementato da alcuni episodi oltre ogni tollerabile giustificazione, come le motivazioni di sentenza depositate anni dopo la chiusura del processo. Ma pur sempre stereotipi sono.
Perché, a quanto pare, la realtà è parecchio differente.
Tanto per cominciare è il Cepej, European commission for the efficiency of justice, a indicare i livelli comparati di produttività, comparati si intende con i colleghi giudici degli altri paesi europei. Ci informa, il rapporto Cepej 2008, che i magistrati italiani fanno registrare 4518 cause civili definite ogni 100.000 abitanti, contro le 2573 dei giudici francesi e le 2925 dei giudici spagnoli.
A questo possiamo aggiungere, da qualche settimana, i risultati di una rilevazione sugli standard di rendimento condotta dal Consiglio superiore della magistratura con la collaborazione dell’Ufficio statistica del ministero della Giustizia. Se si tiene conto che la rilevazione è stata condotta osservando il lavoro di un campione di 575 magistrati su un totale effettivamente in organico di 8800, nel periodo di tempo tra marzo e giugno 2011, bisogna convenire che i risultati vanno guardati con un certo interesse.
L’indagine ha analizzato il lavoro di 337 pubblici ministeri e 72 giudici penali, di 100 giudici civili, 51 giudici del lavoro e 15 magistrati di sorveglianza.
In breve, è stato studiato il rendimento per materie separate (penale e civile) ma anche per oggetto e carico di lavoro.
Una delle conclusioni più importanti è che il livello di produttività dei magistrati posti sotto esame cresce in misura direttamente proporzionale al loro carico pendente: maggiore è il numero di cause che hanno a ruolo, maggiore è il numero di cause definite. Ma soltanto fino a un tetto che possiamo chiamare di “saturazione” oltre il quale la curva si inverte e si assiste al fenomeno contrario, e cioè alla diminuzione della produttività.
Proviamo a fare un esempio. Un magistrato che si occupa di risarcimento del danno evidenzia un trend produttivo che registra un massimo – mettiamo il caso – di 100 cause definite su un ruolo (carico pendente) di 500 cause, di 170 cause definite su un ruolo di 800. Dunque, mostrando un aumento di produttività con l’aumentare del carico pendente. Ma se quest’ultimo arriva a 1000 cause, ecco che comincia l’inversione, poiché il magistrato riesce a definirne soltanto 130.
Perché? Oltre un certo limite, il carico pendente si trasforma, per così dire, in zavorra, nel senso che la mole di atti, provvedimenti, gesti materiali burocratico-tecnici (dai contatti con gli avvocati allo spostamento fisico dei fascicoli da una stanza all’altra) collegati a ogni singola causa ne rallenta la definizione.
Partendo da queste analisi, si è stabilito una sorta di percentile, una scala di valori medi entro i quali inserire il rendimento sotto osservazione. Si è considerato “normalmente” produttivo l’intervallo rientrante nell’arco tra il 30 e il 70, ovvero il 40% centrale. Ecco che, sopra il 70, si avrà un 30 per cento di giudici che lavorano oltre il dovuto.
Uno schiaffo per quanti scaricano sulla magistratura le responsabilità delle lentezze processuali civili.
Resta da valutare con attenzione che cosa significa quel 30 per cento di produttività al di sotto dei valori medi. Siamo in presenza dei famosi giudici con il gomito del tennista o piuttosto si tratta di uno strascico del fenomeno che abbiamo descritto? Siamo in attesa del prossimo studio da parte del Csm.
Daria Lucca
Giornalista
Giustizia & Impunità - 11 Agosto 2011
Giudici e produttività
Nelle tiritere che il circo di Arcore ci ha propinato durante il passato ventennio di dominio culturale (e non solo), uno dei ritornelli più frequenti è stato senza dubbio quello intitolato ai giudici scansafatiche. Nessuno nega che, nei tribunali italiani, alloggino non pochi (e tra poco li quantificheremo) amanti dell’ozio. Molti di noi, fra l’altro, sono stati portati a ritenere che le mostruose lentezze della giustizia, e in particolare quella civile, siano da attribuirsi principalmente alla scarsa presenza dei magistrati negli uffici dove dovrebbero giudicare le nostre cause. Il luogo comune è stato poi cementato da alcuni episodi oltre ogni tollerabile giustificazione, come le motivazioni di sentenza depositate anni dopo la chiusura del processo. Ma pur sempre stereotipi sono.
Perché, a quanto pare, la realtà è parecchio differente.
Tanto per cominciare è il Cepej, European commission for the efficiency of justice, a indicare i livelli comparati di produttività, comparati si intende con i colleghi giudici degli altri paesi europei. Ci informa, il rapporto Cepej 2008, che i magistrati italiani fanno registrare 4518 cause civili definite ogni 100.000 abitanti, contro le 2573 dei giudici francesi e le 2925 dei giudici spagnoli.
A questo possiamo aggiungere, da qualche settimana, i risultati di una rilevazione sugli standard di rendimento condotta dal Consiglio superiore della magistratura con la collaborazione dell’Ufficio statistica del ministero della Giustizia. Se si tiene conto che la rilevazione è stata condotta osservando il lavoro di un campione di 575 magistrati su un totale effettivamente in organico di 8800, nel periodo di tempo tra marzo e giugno 2011, bisogna convenire che i risultati vanno guardati con un certo interesse.
L’indagine ha analizzato il lavoro di 337 pubblici ministeri e 72 giudici penali, di 100 giudici civili, 51 giudici del lavoro e 15 magistrati di sorveglianza.
In breve, è stato studiato il rendimento per materie separate (penale e civile) ma anche per oggetto e carico di lavoro.
Una delle conclusioni più importanti è che il livello di produttività dei magistrati posti sotto esame cresce in misura direttamente proporzionale al loro carico pendente: maggiore è il numero di cause che hanno a ruolo, maggiore è il numero di cause definite. Ma soltanto fino a un tetto che possiamo chiamare di “saturazione” oltre il quale la curva si inverte e si assiste al fenomeno contrario, e cioè alla diminuzione della produttività.
Proviamo a fare un esempio. Un magistrato che si occupa di risarcimento del danno evidenzia un trend produttivo che registra un massimo – mettiamo il caso – di 100 cause definite su un ruolo (carico pendente) di 500 cause, di 170 cause definite su un ruolo di 800. Dunque, mostrando un aumento di produttività con l’aumentare del carico pendente. Ma se quest’ultimo arriva a 1000 cause, ecco che comincia l’inversione, poiché il magistrato riesce a definirne soltanto 130.
Perché? Oltre un certo limite, il carico pendente si trasforma, per così dire, in zavorra, nel senso che la mole di atti, provvedimenti, gesti materiali burocratico-tecnici (dai contatti con gli avvocati allo spostamento fisico dei fascicoli da una stanza all’altra) collegati a ogni singola causa ne rallenta la definizione.
Partendo da queste analisi, si è stabilito una sorta di percentile, una scala di valori medi entro i quali inserire il rendimento sotto osservazione. Si è considerato “normalmente” produttivo l’intervallo rientrante nell’arco tra il 30 e il 70, ovvero il 40% centrale. Ecco che, sopra il 70, si avrà un 30 per cento di giudici che lavorano oltre il dovuto.
Uno schiaffo per quanti scaricano sulla magistratura le responsabilità delle lentezze processuali civili.
Resta da valutare con attenzione che cosa significa quel 30 per cento di produttività al di sotto dei valori medi. Siamo in presenza dei famosi giudici con il gomito del tennista o piuttosto si tratta di uno strascico del fenomeno che abbiamo descritto? Siamo in attesa del prossimo studio da parte del Csm.
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Washington, 3 gen. (Adnkronos/Afp) - Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, condannato in primavera da un tribunale penale di New York per aver effettuato pagamenti occulti alla pornostar Stormy Daniels, conoscerà la sua pena il 10 gennaio, ossia 10 giorni prima del suo insediamento alla Casa Bianca (previsto per il 20 gennaio). Lo ha deciso il giudice della Corte suprema statale, Juan Merchan, il quale ha dichiarato che non intende condannare Trump al carcere.
Trump dovrà "comparire in aula il 10 gennaio 2025", ha ordinato Merchan in un'ordinanza nella quale ha specificato di non essere "propenso a imporre una sentenza di incarcerazione" all'uomo che diventerà il 47esimo presidente degli Stati Uniti.
La decisione del giudice di New York "è un attacco all'immunità presidenziale", ha affermato un portavoce del tycoon repubblicano, Steven Cheung.
Palermo, 4 gen. (Adnkronos) - “Grazie per il vostro affetto e per quello che fate tutti i giorni per noi cittadini”. Sono le parole di ringraziamento che la signora Aurora ha rivolto agli agenti della Polizia di Stato di Catania al termine di un incontro, tra ricordi e racconti condivisi, per iniziare in modo diverso il nuovo anno. Per non trascorrere da sola il giorno di Capodanno, l’anziana di Adrano ha chiamato, nel primo pomeriggio, i poliziotti del locale Commissariato per chiedere un supporto morale e per avere un po' di compagnia a casa sua. Al telefono la donna ha raccontato di trovarsi in uno stato di particolare sconforto per aver trascorso le giornate di festa senza incontrare persone, dal momento che, per la sua età e per qualche problema di salute, preferisce non uscire di casa, pur avendo qualche parente residente nei comuni vicini.
L’accorato appello della signora non è rimasto inascoltato e, in pochi minuti, due agenti del Commissariato di Adrano hanno raggiunto la sua abitazione per verificare, prioritariamente, le sue effettive condizioni di salute. Alla vista dei poliziotti, la donna non ha nascosto la sua felicità per la gradita sorpresa e ha subito spalancato le porte di casa, chiedendo loro di accomodarsi in salone per poter parlare insieme per qualche minuto, rivolgendo, in più momenti, parole di sincera e profonda gratitudine agli agenti del Commissariato.
La donna è apparsa in forma, con un progressivo mutamento del suo stato d’animo, caratterizzato da un evidente entusiasmo e da una contagiosa solarità. La signora Aurora, insegnante in pensione, spegnerà tra qualche settimana le ottanta candeline e ai poliziotti ha raccontato diversi aneddoti della sua vita, rivivendo, così, alcuni episodi piacevoli della sua giovinezza. Inoltre, ha mostrato alcune foto del periodo dei suoi studi e poi della sua carriera tra le aule scolastiche, sottolineando di avvertire molto la mancanza dell’affetto e del calore che, per anni, le hanno dimostrato diverse generazioni di alunni. Dopo circa un’ora di ricordi e sorrisi, i due agenti del Commissariato di Adrano si sono congedati con la promessa di un nuovo incontro nelle prossime settimane, non prima di esaudire la richiesta della signora Aurora di una foto insieme per ricordare questo momento così importante del nuovo anno.
Palermo, 4 gen. (Adnkronos) - "Con profonda indignazione e immenso dolore, denuncio un orribile atto di violenza che si è consumato a Caltanissetta nei primi giorni del 2025 ai danni di un cane di quartiere, noto per la sua docilità e bontà. Questo povero essere indifeso è stato brutalmente aggredito con un'arma simile a una falce, presumibilmente da mano umana, e il suo corpo reca ferite raccapriccianti che non si vedono neanche nei film più macabri. Attualmente sta lottando per la vita, nella speranza che possa farcela". E' la denuncia di Armando Turturici, Volontario animalista e Consigliere Comunale di Caltanissetta. "Questo nuovo episodio di vile barbarie e cattiveria non può e non deve passare sotto silenzio. Chi si macchia di atti di tale crudeltà verso animali innocenti dimostra un'assenza totale di empatia e rappresenta un pericolo non solo per gli animali, ma anche per la società intera. È scientificamente provato che chi perpetra violenza sugli animali può facilmente rivolgere questa stessa brutalità contro le persone", dice.
"Non possiamo più tollerare queste barbarie e spero che le autorità competenti possano identificare e perseguire con la massima severità i responsabili di questo crimine- aggiunge il consigliere comunale - Occorrerebbe un inasprimento delle pene per chi maltratta gli animali: non possiamo accettare che simili individui - mi viene difficile definirli esseri umani - continuino a vivere impuniti tra di noi. Allo stesso tempo, ribadisco con forza la necessità di affrontare in modo strutturale e definitivo il problema del randagismo a Caltanissetta. È un'emergenza che si trascina da troppo tempo e con conseguenze davvero insostenibili sotto ogni punto di vista. Servono sterilizzazioni, controlli, campagne di sensibilizzazione e collaborazione con le associazioni animaliste". E conclude: "Da parte mia ci sarà sempre il massimo impegno per questa delicata tematica. Giustizia per questo cane, giustizia per tutti gli animali vittime di crudeltà".
(Adnkronos) - Allarme ad Ancona per una fuga di gas dopo un incidente. "Attenzione a Torrette!A causa di un gravissimo incidente stradale e a una significativa fuga di gas sono chiuse alcune strade", si legge in un post pubblicato dal Comune di Ancona su Facebook che aggiunge: "Il blocco stradale è su via Lambro e via Esino: in quell'area si raccomanda di NON USCIRE da casa e di chiudere le finestre. Sono al lavoro i Vigili del fuoco e la Polizia locale. Transitabile la strada per l'ospedale e verso la superstrada", si legge nel messaggio.
Squadre dei vigili del fuoco sono impegnate in via Esino, ad Ancona, dopo un incidente che ha coinvolto tre auto: due le vittime. Durante lo scontro è stata abbattuta una cabina di distribuzione del gas metano in media pressione. , due le persone morte. Interrotta la fornitura di gas all'Ospedale Regionale e alle abitazioni circostanti.
Roma, 4 gen. (Adnkronos) - I primi quattro paradisi fiscali al mondo sono il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo, il Liechtenstein e le Channel Islands che sono situate nel canale della Manica. Solo al quinto si trova l'unico paradiso fiscale non europeo di questa black list: le Bermuda. A segnalarlo è l’ufficio studi della Cgia.
Super ricchi italiani e multinazionali che operano nella penisola sono presenti soprattutto a Montecarlo e in Lussemburgo. Siano essi persone fisiche o società, molti contribuenti italiani si sono trasferiti in particolare a Montecarlo e in Lussemburgo. Infatti, circa 8mila connazionali hanno deciso di trasferire la residenza nel Principato di Monaco per via delle tasse zero sul reddito e sugli immobili. Tra questi ci sono grandi imprenditori, sportivi e celebrità dello spettacolo.
In Lussemburgo, invece, si possono trovare ben sei banche italiane, una cinquantina di fondi d'investimento, vari istituti assicurativi e molte multinazionali italiane e straniere che operano nel nostro territorio. Si stima che grazie ai super ricchi con la residenza all’estero, alle manovre borderline delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali che si rifugiano nei paradisi fiscali di tutto il mondo, ogni anno 'sfuggono' all'erario italiano circa 10 miliardi di euro.
Per contrastare quei Paesi che applicano alle big company politiche fiscali compiacenti, dal 2024 è entrata in vigore la global minimum tax (gmt). Secondo il dossier curato dal servizio Bilancio della Camera dei deputati, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15% sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro.
L’anno scorso la gmt ha interessato 19 Paesi Ue: Spagna e Polonia, invece, l’applicheranno da quest’anno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles che ha recapitato loro una lettera di messa in mora. Appare evidente che per le grandi holding presenti nei in UE rimane ancora la possibilità, almeno per i prossimi cinque/sei anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole.
A fronte di oltre 17,6 milioni di addetti presenti in Italia, gli occupati nelle multinazionali (siano esse estere o italiane) sono 3,5 milioni, pari al 20 per cento del totale. A livello territoriale tale quota sul totale occupati regionali sale al 24,4 in Emilia Romagna, al 25,1 in Friuli Venezia Giulia, al 25,3 in Piemonte e al 27 per cento in Lombardia. Se, invece, si parla di fatturato, il dato annuo riferito all’intero sistema produttivo del Paese è di 4.322 miliardi di euro, mentre la quota riconducibile alle big company è di 1.975 miliardi di euro.
Ciò vuol dire che quasi la metà del fatturato prodotto dalle imprese private nel Paese, per la precisione il 45,7%, è ascrivibile alle nostre multinazionali o a quelle estere che hanno delle società controllate che operano in Italia. Su base regionale, tale dato aumenta al 49,8% in Friuli Venezia Giulia, al 51,8% in Liguria, al 52,6% in Lombardia e addirittura al 66,9% nel Lazio.
Palermo, 4 gen. (Adnkronos) - La Procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati due persone ritenute gli assassini di Piersanti Mattarella, l'ex Presidente della Regione siciliana, ucciso il 6 gennaio del 1980 a Palermo sotto gli occhi della moglie Irma e dei figli, Bernardo e Maria. Secondo quanto scrive oggi Repubblica, ci sarebbe una svolta nell'inchiesta riaperta sull'assassinio del politico, fratello del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. I due indagati sarebbero"soggetti legati alla mafia accusati di essere i sicari dell'esponente della Dc", scrive il quotidiano. Per l'omicidio Mattarella sono stati condannati solo i mandanti, i componenti della Cupola di Cosa nostra, mentre sono stati assolti Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, che erano finiti sotto inchiesta con l'accusa di essere i killer dell'ex governatore. Ad ipotizzarlo era stato il giudice Giovanni Falcone che indagò sul delitto eccellente. "L'assassino di Mattarella - si legge nel'articolo - è a volto scoperto e viene visto da almeno 5 testimoni: è un uomo sui 25 anni, con l'aspetto da bravo ragazzo, altro circa un metro e settante. Corporatura robusta, capelli castani. La vedova di Mattarella aiuta a disegnare l'identikit e poi riconosce il capo dei Nar, Valerio Fioravanti, nelle foto pubblicate dopo l'arresto, come una persona molto simile a lui". Adesso la Procura di Palermo ha raccolto "nuove rivelazioni, nuovi dati e riscontri che rafforzano il quadro dell'accusa nei confronti dei nuovi indagati".
Washington, 3 gen. (Adnkronos/Afp) - Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, condannato in primavera da un tribunale penale di New York per aver effettuato pagamenti occulti alla pornostar Stormy Daniels, conoscerà la sua pena il 10 gennaio, ossia 10 giorni prima del suo insediamento alla Casa Bianca (previsto per il 20 gennaio). Lo ha deciso il giudice della Corte suprema statale, Juan Merchan, il quale ha dichiarato che non intende condannare Trump al carcere.
Trump dovrà "comparire in aula il 10 gennaio 2025", ha ordinato Merchan in un'ordinanza nella quale ha specificato di non essere "propenso a imporre una sentenza di incarcerazione" all'uomo che diventerà il 47esimo presidente degli Stati Uniti.
La decisione del giudice di New York "è un attacco all'immunità presidenziale", ha affermato un portavoce del tycoon repubblicano, Steven Cheung.