Nella notte abbiamo ricevuto moltissime testimonianze e opinioni di italiani che vivono (o, più raramente, che sono in vacanza) a Londra.
Crediamo sia importante dare spazio ai vostri contributi, poiché aiutano tutti a farsi un’idea. Ci scusiamo per eventuali refusi o errori.
Grazie a tutti coloro che ci stanno scrivendo.
La redazione FQ Londra
Postate il vostro commento qui sotto, oppure scrivete a londra@ilfattoquotidiano.it
Ma davvero i riots giungono così inaspettati?
Londra e l’Inghilterra non sono solamente il Big Ben, bellissimi negozi e musei. Vi sono milioni di persone che vivono in aree altamente degradate in condizioni a dir poco disagiate. In questi quartieri, tra cui i sobborghi di Londra, il tasso di disoccupazione raggiunge e supera il 20%, i ratti sono il più comune animale “domestico” e i servizi fondamentali sono qualcosa di sconosciuto. Io personalmente ho vissuto tra Stratford e West Ham e posso assicurarvi che non avevo mai visto nulla di simile in tutta la mia vita, nemmeno in nazioni molto più povere.
I recenti tagli al bilancio imposti dal governo “Clameron” (Clegg – Cameron) hanno portato alla decurtazione dei già insufficienti benefits per le persone più disagiate e all’eliminazione di quelle strutture di supporto che tenevano occupati ed aiutavano i ragazzi dei sobborghi.
Inoltre, i tagli all’educazione hanno portato ad un aumento delle tasse unversitarie che hanno ora raggiunto le 9000 sterline annue. Quanti ragazzi proveniente da famiglie dal reddito medio-basso potranno veramente andare all’Università? Che futuro può avere un ragazzo dei sobborghi di Londra che vive in una zona in cui il tasso di disoccupazione giovanile supera il 35%, in un edificio che sarebbe indecente in gran parti del terzo mondo e che non potrà permettersi di ricevere quell’educazione universitaria fondamentale per trovare un posto di lavoro?
Il Regno Unito è il paese dell’Europa occidentale con il maggior divario tra ricchi e poveri (20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà) e con il livello più basso di mobilità sociale.
L’uccisione di Mark Duggan non è stata altro che la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un disagio sociale che attendeva da tempo di dilagare. Gli abitanti dei sobborghi, gli invisibili metropolitani britannici, sono socialmente esclusi, volontariamente dimenticati e lasciati a se stessi. Sebbene i disordini siano ovviamente da condannare, questi non sono altro che l’unico modo che questi ragazzi hanno per diventare visibili per un giorno.
Per questo motivo i disordini del Regno Unito si possono definire “annunciati”. La situazione in alcune aree del Regno Unito e di Londra in particolare è insostenibile. Il governo britannico, anziché concentrarsi sul trovare arcaiche scuse per uscire dall’Unione Europea, dovrebbe rivalutare le proprie politiche di tagli al welfare e di integrazione sociale.
Federico Guerrieri
Bisogna pensare allo sviluppo di una società più sana, o sarà sempre più difficile vivere
Per cercare di capire cosa sta succedendo in questi giorni in Gran Bretagna, secondo me, bisogna dividere il problema su due piani diversi: quello occasionale e quello sociale.
Piano occasionale.
La morte di Mark Duggan (non posso neanche immagnare cosa provi ora quel poliziotto che ha fatto quel tragico errore) ha dato occasione a trasformare una manifestazione pacifica in una vera e propria rivolta che la polizia ha scelto di non fermare in modo violento. Come al solito insieme alle persone piene di rabbia si sono unite quelle che trovano soddisfazione nelle distruzione. La notte successiva, la domenica, focolai di guerriglia si sono allargati in altre zone e anche lì ha scelto di non intervenire. In Brixton, dove vivo, persone di diverse etnie ed età hanno distrutto e saccheggiato soprattutto i negozi di elettronica e di sport. Il vandalismo è andato avanti per mezz’ora senza che si vedesse un poliziotto (notare che in Brixton ci sono costantemente molti poliziotti e io stessa sono stata fermata solo perché facevo foto alla fermata della metropolitana). Notare inoltre che la stazione di polizia è a 50 metri.
La polizia ha scelto di non intervenire a causa di quello che era successo a Mark Duggan e perché hanno totalmente sottovalutato le conseguenze.
Dal giorno successivo molti ragazzi anche molto giovani hanno approfittato di questa debolezza, si sono messi d’accordo per distruggere la comunità da cui si sentono rifiutati.
Il fenomeno ha preso dimensioni tali che non sono riusciti più a fermare come una valanga che cresce e diventa incontrollabilmente sempre più grande.
Piano sociale.
Una volta fermato il fenomeno occasionale quello che devono affrontare i governanti è il probema sociale. Perché tanti ragazzi pensano che sia accettabile incendiare e distruggere la comunità in cui vivono? perché sono disposti a tutto per rubare i beni che di solito possono solo sognare? Notare che per lo più sono stati saccheggiati negozi di elettronica, Foot-locker, Debenhams, Armani Exchange.
Le politiche economiche di tagli hanno colpito come al solito soprattutto le fasce più deboli. Negli ultimi anni è aumentata l’IVA, hanno triplicato le tasse universitarie, hanno tolto servizi come centri giovanili (dove veniva dato supporto per CV e qualificazioni), biblioteche, asili e scuole pubbliche (per spostare i fondi sulle scuole private – ricorda qualcosa?).
Il mercato del lavoro è drammaticamente crollato soprattutto nell’aera della manodopera e soprattutto per i giovani. Nelle aree in cui ci sono stati disordini la disoccupazioe giovanile raggiunge il 50%.
La polizia normalmente in queste zone usa una tattica “Stop&Check”. Se la polizia incontra un ragazzo che potrebbe essere sospetto, in genere giovane e nero lo ferma e perquisisce. Nel breve periodo funziona, cerchi armi/droga etc dove è più probabile trovarle. Ragazzi spaventati anche solo di 10-12anni che non hanno fatto niente vengono fermati perché potrebbero aver fatto qualcosa. Nel lungo periodo logora il tessuto sociale e crea razzismo e divisioni. Ho assistito a questa scena più volte, ed è umiliante, davvero.
In Italia probabilmente non ci sono tensioni simili e così violente perché dove ci sono problemi simili la rabbia viene convogliata dalle mafie. Non sono certa che sia una situazione migliore, credo che sia solo meno visibile.
Credo che sia in Gran Bretagna sia in Italia se non si pensa a investire pensando allo sviluppo di una società più sana, sarà sempre più difficile vivere.
Ilaria- Londra – Brixton
Per lunghe ore, nessuno é intervenuto…
Vivo da 4 anni a Londra, in Ilminster Gardens che é a pochi passi da Clapham Junction, uno dei luoghi piú colpiti dagli scontri di lunedí sera.
Di ritorno dall’ufficio, giunsi in stazione quella sera intorno alle 18.30 e notai subito che c’era qualche poliziotto nella hall, e che molti negozi intorno erano giá chiusi.
Poco prima delle 20, dal balcone di casa vedo un insolito movimento di persone e dopo poco mi accorgo che i teppisti avevano sfondato la vetrina del “Debenhams” all’angolo della strada.
Da allora, per oltre due ore sono andati avanti indisturbati. Alcuni di loro uscivano dal retro del “TK Maxx” di St. John’s road, che é situato proprio di fronte al mio balcone, carichi di oggetti di ogni tipo. Molti usavano il giardino del nostro cortile per nascondere la refurtiva, che poi venivano a recuperare con l’aiuto di alcuni complici in auto. Una BMW con alcune persone a bordo é rimasta ferma di fronte al cancello del nostro palazzo per una buona mezz’ora in attesa che alcuni di questi teppisti completassero l’opera.
Tutto questo é andato avanti senza il benché minimo contrasto da parte della polizia, fino almeno alle 22.30. A quel punto io e i miei amici avemmo la (errata) sensazione che fosse passato il peggio, e scendemmo in strada per vedere quanta devastazione avevano creato tutto intorno. Le immagini che hanno fatto ormai il giro del mondo documentano meglio di qualunque descrizione ció che é accaduto in Saint John’s Road e Lavender Hill, ma evidentemente non era ancora finita: nonostante la presenza della polizia, fecero in tempo poco prima delle 23 a bruciare il negozio di maschere di fronte al Debenhams. Il fumo e la puzza hanno ristagnato nell’area per tutta la notte, impedendo a molti di noi di prendere sonno.
La mattina dopo, alle 9, i pompieri erano ancora al lavoro in quell’edificio. Le strade intorno a Clapham Junction erano chiuse anche al transito pedonale, e sono rimaste tali fino a martedí sera.
La cosa piú scoraggiante di quelle ore é stata la netta sensazione che tutto fosse completamente fuori controllo. Questi soggetti hanno potuto fare il bello ed il cattivo tempo indisturbati, trasformando una delle zone residenziali piú tranquille della cittá in un vero far west. Avevamo paura di guardare dalle finestre perché temevamo che qualcuno avesse pietre o altre armi contundenti da lanciarci, o che potessero entrare nelle nostre case.
Per lunghe ore, nessuno é intervenuto e nella strada di casa mia hanno imperversato vandali che avrebbero davvero potuto fare qualunque cosa. La peggiore notte da quando vivo qui, senza alcun dubbio.
Luca Schiavoni
E’ impossibile negare una relazione tra le rivolte, le condizioni sociali di chi protesta e i recenti tagli del governo
Come previsto, i disordini principali sarebbero esplosi di notte.
Ad Hackney, dove vivo da un anno, il centro della rivolta è stata Clarence Road, una piccola via di cento metri o poco più piena di negozietti e case popolari.
Alle dieci e mezza, mi reco in zona, in compagnia dei miei coinquilini e un paio di amici. In tutto 6 persone, compresa una ragazza. Porto anche la videcamera, che evito di mettere in bella mostra.
Arrivati all’inizio della via, troviamo una situazione ben più tesa del pomeriggio. Subito dopo un auto carbonizzata, una folla di persone sta portando via quel poco che rimane di un negozietto di alimentari e cianfrusaglie assalito ore prima, e la stradina è piena di giovani con casse di birra e superalcolici. Tiriamo dritti cercando di non sembrare troppo spaesati. In fondo alla via, camionette della polizia e frotte di poliziotti. Ci chiediamo perché non intervengano. Tempo dieci minuti e ci accontentano.
Avanzano una leggera carica con cui riescono a disperdere la folla, ma subito dopo la strada è piena come prima.
Avverto una forte sensazione di angoscia. Nel futile vandalismo vedo i frantumi di un sistema politico. Non posso fare a meno di pensare alla crisi globale e ai suoi mille volti: in Grecia, il pacchetto di austerità e le rivolte di piazza; in Spagna gli Indignados; in Italia il rischio finanziario; a Londra, una crisi di legittimità, in cui i corpi politici intermedi scompaiono. I partiti politici non veicolano le richieste sociali; le autorità locali non raggiungono i loro utenti; le associazioni di volontariato non bastano a colmare i buchi.
Cerchiamo di avvicinare qualcuno, con lo scopo di ottenere almeno una voce se non della perlomeno dalla protesta. La copertura mediatica non era ancora riuscita a trasmettere un “interno”. Una delle poche eccezioni era offera da un video girato da un giornalista del Daily Telegraph, in cui una corpulenta donna sulla quarantina, di origine caraibica inveiva contro una folla di saccheggiatori. Armata di voce, carisma, e un bastone per sostenere un passo incerto accusava di sciacallaggio e ricordava che la rabbia esplosa non ha nulla a che vedere con un paio di scarpe di marca, ma richiedeva ordine e politica.
In poche ore, il video è stato visto da 800 mila persone.
Attaccare bottone è più facile del previsto, chiunque non è coinvolto nel saccheggiare o tirare bottiglie sembra avere un gran voglia di esternare. Una donna di origine caraibica ci parla della perdita dei posti di lavoro, dell’aumento degli affitti, della difficoltà di comprare i pannolini per i propri figli e del taglio netto dell’assistenza sociale apportato dal governo Cameron.
“Che ti aspetti che capiti? Se riduci le persone in miseria, prima o poi esplodono”, è il suo commento più secco. Aggiunge anche parole di odio verso la polizia: “Sono i più corrotti di tutti. Lo scandalo intercettazioni ce l’ha solo confermato”. Sulla stessa lunghezza d’onda, anche Ris, un uomo anch’egli di origine caraibica. Elenca le responsabilità della polizia nell’esplosione delle rivolte; in particolare critica la loro mancanza di trasparenza nell’accertare la dinamica della morte di Mark Duggan, lo scorso giovedì a Tottenham.
Le prime opinioni che raccogliamo ci dischiudono il lato B di Hackney, quello alternativo alla fiaba del quartiere recuperato dalla violenza e dal crimine.
A suo modo, le rivolte in questa zona sono tra le più dolorose per Londra, perché ne infrangono l’immagine di armoniosa città multiculturale in uno dei quartieri simbolo della recente buona amministrazione inglese.
Con i suoi 200 mila abitanti, Hackney è tra le municipalità più povere della città.
Negli ultimi cinque anni è stata al centro di una riqualificazione che l’ha fatto passare dallo status di quartiere sinonimo di crimine a centro alternativo, pieno di locali, jazz bar, gallerie d’arte, studi artistici e case di produzione. Sarà anche uno dei cinque quartieri chiamati ad ospitare le Olimpiadi la prossima estate. Il governo aveva appositamente selezionato aree disagiate nell’Est della città, nel tentativo di rivalorizzarle. I frutti parevano sotto gli occhi i tutti, fino a tre giorni fa.
Ora d’improvviso, una fetta rilevante di popolazione, che per me è rappresentata dai barricadieri di Clarence Road, nega che la fiaba si sia compiuta. A loro dire, lo sviluppo non l’ha toccati; il quartiere è pieno di bar e mercatini trendy, ma sono per la middle class, non per loro.
E’ impossibile negare una relazione tra le rivolte, le condizioni sociali di chi protesta e i recenti tagli del governo. Eppure, il governo Cameron ha scelto di farlo, al pari di Lady Thatcher trent’anni fa, quando dichiarava che i rivoltosi di Brixton erano semplicemente dei criminali.
Intanto, i nostri interlocutori né appoggiano né ostacolano chi fa la spola tra il negozietto saccheggiato e la sua casa.
Guardiamo ancora alla folla, con occhi attenti e angosciati. Hanno appena dato alle fiamme un furgoncino di una ditta quando notiamo una signora risalire Clarence Road. E’ una donna di origine caraibica, sulla quarantina, e si aiuta nel passo incerto con un bastone. La stessa del video.
Mark, il mio coinquilino, è un giornalista e mi trascina verso di lei. Video-intervistarla sarebbe un bel colpo.
Lei si dimostra affabile e ben disposta a chiacchierare. Si chiama Pauline Pearce, ha 46 anni ed è madre di 4 figli. Ripete in altre parole quanto aveva strillato poche ore prima, di fronte ad una folla simile.
Anis, un altro membro del nostro mini gruppo, mi suggerisce di filmare di nascosto; come poi, non so. Lo mando a quel paese senza pensarci. Filmare da furbetto è la peggiore cosa da fare in questi casi.
Me lo conferma anche la prossima scena che ci si para davanti: un gruppetto di venti persone che si muove come uno sciame d’api. Al centro, c’è’ un giovane ragazzo bianco. Stanno cercando di strappargli la macchina fotografica con cui ha immortalato il saccheggio del negozio. Lui la difende con ostinazione. Il gruppetto lo sta per sopraffare e il tutto sembra il preludio di un linciaggio. Mentre assistiamo alla scena, Pauline si getta in mezzo al gruppo. Inveisce, grida “Stop it!”. Riesce non si sa come ad imporsi. Il ragazzo è molto più bianco di prima. Se ne va con la sua macchinetta tra le mani.
Pauline, infuriata non smette di strillare “Questa non è una questione di razza! E se non volete essere ripresi copritevi con cappucci e sciarpe”. “Ha fatto delle foto” – gli ribatte uno degli aggressori di un minuto prima. La risposta è secca: “E’ l’evento più visto dell’anno ed è pieno di telecamere a circuito chiuso ovunque. Idiota!”.
Continua incontenibile “Unite-Stop Fight! Get real! Ho un cancro e il Signore potrebbe portarmi via domani, ma dobbiamo essere uniti e usare il cervello!”
Abbiamo visto abbastanza e la situazione sembra stabile, con la polizia che ha rinunciato a ristabilire l’ordine in nottata e si limita a contenere i disordini in una piccola via.
Il mattino seguente torno lì alle 7:30. Gli addetti alle pulizie stanno finendo di pulire la strada. A testimoniare la nottata precedente, rimangono le carcasse bruciate delle auto e un gruppo di persone davanti al negozietto preso d’assalto. Tra queste, c’è anche un giovane di neanche trent’anni, di origine filippina o malesiana. Il proprietario del negozio.
Ci scambio due parole. “Mi dispiace. Spero che l’assicurazione ti copra.” In risposta, un amareggiato “non per queste cose.”
Roberto Valussi
“Un gruppo di giovani mi urlava contro, ordinandomi di smettere di filmare”
Sento il bisogno di condividere con voi quello che ho vissuto perché è più crudo e terrificante di qualunque foto o video che vedrete sui media.
E dire che tutto è nato perché volevo riprendere quello che stava succedendo e filmare gli scontri con la mia telecamera. Ieri notte ho vissuto un incubo a occhi aperti.
Sono un film-maker che, ormai da 4 anni, abita a Londra, precisamente a Peckham, uno dei quartieri più poveri e ostili della città dove malavita, droghe e armi girano quotidianamente.
Nel primo pomeriggio ero in casa quando ho sentito un rumore inaspettato e ho cominciato a sentire voci, urla, e volanti della polizia che correvano all’impazzata. Mi sono affacciato alla finestra e ho visto un autobus in fiamme di fronte alla mia fermata dell’autobus, il 36, proprio l’autobus che prendo tutti i giorni per andare a lavoro.
Ho pensato che fosse il momento buono per filmare; sono sceso in strada per vedere quello che stava succedendo, e devo ammettere che forse non è stata una bella idea; mi rendo conto che la possibilità di rimanere un osservatore neutrale diviene difficile, se non impossibile, quando, all’improvviso, da un momento all’altro, ci si trova nel mezzo del corso degli eventi.
Quando sono sceso – e come me diverse altre persone – ho trovato un certo numero di poliziotti che stavano allontanando la gente dal luogo dell’evento; dopo aver spento le fiamme, hanno lasciato che ognuno facesse loro foto, come se fossero degli eroi. Ho sentito il forte odore della plastica bruciata, difficile da respirare.
A poche decine di metri ho assistito a una situazione quasi surreale. Tutti i negozi aperti, catene di multinazionali, negozi di elettrodomestici, di cambiovaluta, di vestiti.. tutti saccheggiati. Di fronte alla biblioteca pubblica di Peckham si stavano fronteggiando circa 50 poliziotti da un lato e un gruppo di diverse centinaia di rivoltosi dall’altra, divisi da una strada. A pochi metri da dove filmavo stavano avvenendo gli scontri mentre le vetrine di un negozio vicino a me venivano distrutte. Durante tutto questo, a un certo punto, sono stato sollevato da dietro e tirato via, trovandomi a lottare per non perdere la mia telecamera. Un gruppo di giovani tra i 15 e i 25 anni, coperti da sciarpe sul volto, mi stava urlando contro, ordinandomi di smettere di filmare a tutti i costi.
Dopo pochi secondi in cui non riuscivo ancora a capire cosa stava succedendo, e faticando a rimanere in piedi, mi sono reso conto di essere più estraneo di quanto magari pensassi alla realtà del quartiere in cui vivo ormai da quattro anni. Cerco di dare loro spiegazioni, voglio solo riprendere cosa sta accadendo. Vengo minacciato e non ho altra scelta se non quella di scappare.
Abbastanza scioccato in un primo momento, sono venuto via, ma pensavo alla mia videocamera che era stata presa e con lei tutto il materiale e le prove di quello che era successo. L’adrenalina forte in quel momento mi ha fatto scordare lo shock, soltanto dopo ho preso coscienza del rischio che avevo corso.
A questo punto chiamo Tom, un mio caro amico londinese che viene a prendermi con la sua Honda Hornet 600, per portarmi in centro, a Totthenam Court Road, dove tutto sembra tranquillo; la gente non ha idea di cosa sta succedendo a pochi chilometri di distanza. Il mio viaggio a Nord della città, dove avrei dovuto incontrare un collega, continua; erano le dieci di sera, Tom mi lascia alla fermata della metropolitana; destinazione Camden Town. Un tabellone all’ingresso avverte quali sono le fermate che non sono raggiungibili a causa degli scontri, tra queste appunto Camden. Per questo motivo scendo a quella dopo, più a nord, Chalk Farm.
Arrivato, comincio a incamminarmi quando un uomo su una macchina a sirene spiegate inizia a gridare di scappare. Vedo in lontananza la gente che corre verso di me, e, dietro di loro, un gruppo di persone incapucciate che distruggono le vetrine dei negozi con mazze e sbarre di ferro.
Corro all’impazzata, senza pensare, corro. Arrivo proprio quando stanno per chiudere la saracinesca di accesso alla tube. E’ panico, molte persone rimangono chiuse fuori, chiedono di entrare. Io salto dentro e corro giù per prendere l’ultima metro. Sono le 12pm, direzione Elephant and Castle.
Il ritorno a casa, nonostante tutto, non è poi così traumatico. Si avvicina un taxi, gli chiedo “Mate, could you take me to Peckham?” (Mi porteresti a Peckham?), e lui, senza neanche rispondermi, tira su il finestrino e riparte lasciandomi a piedi.
Allora niente, cammini, prosegui per 15min in una strada fantasma, dove c’è solo degrado. Hai visto quella strada tutti i giorni per 4 anni; ora hai paura di chi è dietro e davanti a te.
Arrivo finalmente a casa, vado a letto e comincio a pensare….
Vi scrivo mentre sento le sirene della polizia che continuano a suonare. Londra non brucia come nel 1666 e neppure siamo ai livelli di Brixton negli anni ‘80 almeno per ora. Sicuramente però, nessuno se lo aspettava, polizia in primis che è stata colta assolutamente impreparata, proprio come la prima delle quattro manifestazioni che hanno sconvolto Londra tra metà novembre e metà dicembre 2010.
‘When you cut facilities, slash jobs, abuse power, discriminate, drive people into deeper poverty and shoot people dead whilst refusing to provide answers or justice, the people will rise up and express their anger and frustration if you refuse to hear their cries. A riot is the language of the unheard.” – Martin Luther King. However Ralph Waldo Emmerson said “when you do speak so loudly I can’t hear what you’re saying.”
A questo link trovate il video dei momenti poco prima l’evento. E’ stato filmato con il cellulare di un amico che mi accompagnava.
vimeo.com/27516803
Michele Bonechi, Londra 9 Agosto 2011
La libertà che viene ricercata è la schiavitù di qualcun altro!
Mi trovo a Londra in questi giorni! E’ strano vedere come la potente Inghilterra sia messa in crisi da scapestrati giovincelli. La verità è che questi giovani in rivolta, queste mine vaganti sono figli della società in cui vivono. Non stanno ribellandosi ad un sistema che li esclude dalla cittadinanza attiva. Sono incazzati neri perchè non possono avere l’iphone, i vestiti coll et etc etc Non a caso svaligiano foot-locker, negozi di elettronica… Sono i figli del consumismo più sfrenato che qui imperversa. Mettono a fuoco e fiamme una città perché voglio ciò che hanno gli “happy few”. Non cercano alternative. Non vogliono affermare la loro identità. E’ un po’ come succede da noi! La gente non ha i soldi per mangiare, ma chiede un finanziamento per comprarsi il telefonino di ultima generazione e se non può farlo si frustra e frustrato sogna di diventare il Berlusconi della situazione, potente ed impunito che fa come gli pare.
La libertà che viene ricercata è la schiavitù di qualcun altro! Nella grande Londra, in cui sembra che ognuno possa essere ciò che vuole, in realtà manca un modello culturale alternativo, che faccia comprendere soprattutto ai più giovani, che la libertà non risiede nelle possibilità economiche e di conusmo, ma nell’opportunità di costruire, con sacrificio, sì sano sudore della fronte, il proprio domani. Ma come far comprendere questo messaggio in una società in cui sembra contare solo l'”oggi”? Sono sincera, mentre scrivo queste cose mi sento già, senza bisogno di essere contraddetta, un’idealista frustrata!
Maria Giovanna Titone
Cosa capiterà nel weekend?
Ieri notte la situazione è stata tranquilla, ma la città vive un momento strano. I negozianti di Camden e altre zone molto popolari sono costretti a chiudere verso le 17.00. I giovani nei quartieri si stanno roganizzando per rispondere agli attacchi dei rioters, se accadono, ma cosa capiterà nel weekend? Dalston, Hackney e Old Street come saranno venerdi sera? Su Facebook nascono gruppi per respingere i rioters, ma se i due gruppi verranno acontatto sarà difficile controllare la situazione.
Il mio racconto di lunedì sera, è ora che si torni alla normalità!
Emanuele Norsa
L’impressione è che si stiano divertendo a sfasciare tutto e a rubare ciò che possono
Sono un ragazzo in vacanza con mia madre, mio fratello e altri due amici. La situazione nel quartiere dove risiediamo al momento (Hammersmith) è più che tranquilla, a parte le occasionali sirene delle volanti o gli elicotteri che la sera ci ronzano sopra la testa. Per sicurezza questi giorni non siamo andati molto in giro, però ieri siamo andati a trovare un nostro conoscente a Tottenham e lo scenario era davvero da guerriglia urbana: vetrine spaccate, auto carbonizzate… Da quello che ci ha raccontato la gente del posto, i “rioters” sono per la maggior parte ragazzi sulla ventina e il loro bottino è composto soprattutto da oggetti di tecnologia come televisori e console… L’impressione generale qui però è che i rioters non stiano protestando per un qualsivoglia motivo, ma semplicemente si stiano divertendo a sfasciare tutto e a rubare ciò che possono.
Orlando
Questi ribelli sono anche il frutto di un sistema malato che non può reggere più
Vivo a Londra da un anno e mezzo, vivo in uno dei vecchi quartieri definiti “a rischio”, abitato prevalentemente da una forte comunità afro-caraibica ed oggetto negli ultimi anni di una massiccia operazione di riqualificazione urbana. Vivo a Peckham ed anche qui i rioters sono arrivati a rompere tutto.
Lunedì scorso. Dal di fuori ho provato come tutti a darmi una spiegazione o quanto meno a cercare di immaginarne le cause. Si è scritto di tutto sulla stampa italiana, con grosse imprecisioni e talvolta con false implicazioni politiche. Io un’idea me la sono fatta e purtroppo non è felice. A Londra c’è un enorme gap sociale ed economico tra i ricchi e i poveri. Ai poveri si riconducono in gran parte i rioters. C’è il mondo della finanza imprenditoriale – banche, assicurazioni, multinazionali – e più in generale del terziario avanzato, di chi guadagna 500 £ al giorno e poi un mondo di chi nemmeno in un mese li vede 500 £!
Un mondo fatto di gente che non ha voglia né aspirazione al lavoro “dei poveri” quando intorno a te c’è una vita che non puoi permetterti con quel lavoro. Il mondo dei poveri è stato supportato finora con eccessivi “benefit” – sussidi statali. Gli aiuti sociali quando non inseriti in un contesto di valorizzazione e sviluppo finiscono per essere dannosi più che un aiuto. Sono stata diverse volte agli uffici di collocamento, i cosiddetti jobcenter, era sempre pieno di giovanissimi con 3, 4 figli piccoli, venuti a riscuotere l’assegno, a volte con evidente atteggiamento di sfida, di ribellione, di non rispetto delle regole. E’ qui che vanno inseriti i rioters.
Non è la razza, non è la rivendicazione dell’uccisione del giovane nero a Tottenham, non il fallimento del multiculturalismo, non la mancanza di diritti, è il vuoto sociale, la mancanza di riferimenti in una società spinta come quella inglese. La disoccupazione che pure è alta non tocca questi ragazzi, a loro certo non importa dei tagli del governo, dell’aumento delle tasse universitarie (se è vero finiscono il college!), della mancanza di lavoro. Non sono mai stati abituati a lavorare, non ci andrebbero comunque a lavorare!
Fanno parte di una classe sociale sussidiata dallo stato, resa consumista dal sistema, occupata a spendersi quei pochi soldi in pub o vestiti e sneakers firmati. E quando questi soldi non bastano più, quando si vuole di più, bèh se lo prendono con la violenza. Non a caso assaltano negozi di questo tipo e grandi catene di telefonia/tecnologia. Molti sono dei teppisti senza paura e con una ribellione allo stato e alla polizia eccessiva; sono inglesi da generazioni anche se per la maggior parte le famiglie d’origine sono afro-caraibiche, asiatiche, ecc.
Mi fa rabbia vedere che nonostante le strutture ci siano – biblioteche, centri sportivi di quartiere, parchi sempre curati – nonostante le piccole associazioni lavorino a livello della comunità, tutto ciò non è sufficiente a riempire un vuoto che inizia molto prima, in seno alle famiglie, nelle scuole poi nelle strade.
In tutte le società capitalistiche occidentali c’è un forte gap sociale, ovunque ci sono le classi povere ed il disagio adolescenziale ma se viene a mancare la coscienza, l’ideologia, la speranza, l’unica cosa che resta è la rabbia e la violenza.
In tutto ciò la responsabilità dei governi, delle famiglie, delle classi sociali non scompare né si ridimensiona, in qualche modo questi ribelli sono anche il frutto di un sistema malato che non può reggere più.
Il vento di protesta nordafricana arrivato a Londra? Per piacere non confondiamo le cose: i tunisini lottano per la democrazia, i rioters inglesi per appropriarsi dei simboli di una falsa ricchezza!
Simona Cambio
“La vergogna inglese”
Carissima redazione,
una vostra grandissima e giovanissima fan vi scrive da Londra.
Qua non è affatto come si legge nei giornali.. è tutto molto tranquillo nel centro, anche Tott. Road, anche Oxford Street ormai è tornata alla normalità, e i turisti (tantissimi italiani tra l’altro) non temono niente e nessuno e stanno in giro fino a tardi. Non sembrano impressionati.
Nell’isolato dopo il mio hotel (zona Russell Square) ci sono stati episodi di vandalismo, ma dopo neanche un giorno era già tutto aggiustato e quasi dimenticato.
I giornali inglesi invece ne parlano moltissimo: loro, come i londinesi, sono realmente sconvolti, la chiamano “la vergogna inglese”.
p.s. Si parla anche fin troppo di Berlusconi, lo fanno passare per pazzo. O forse hanno solo capito come stanno effettivamente le cose?
Bianca Ambrogio e Lorenzo Quiroli
Questo è puro saccheggio
Buongiorno, mi chiamo Daniele Umoette, ho 26 anni e vivo a Londra da 4 anni. Mi permetto di dire che una situazione del genere non l’avevo mai vista.
Ovviamente common sense vorrebbe che questi fatti di protesta e saccheggio fossero iniziati a causa dell’uccisione del ventinovenne Mark Duggan da parte di un agente di polizia, ma sempre di più a me sembra palese che il disagio sociale sia solo un falso pretesto. Gran parte dei rivoltosi sono teenager che non hanno fatto altro che saccheggiare e distruggere negozi di abiti e di generi alimentari. La situazione di chi vive a Londra non c’entra nulla con i fatti che stanno accadendo in queste ore: questo è puro saccheggio. Assumere che questi giovani vogliano dire qualcosa con i loro atti sarebbe solo una strumentalizzazione di una idea che nelle loro menti non c’e (ovviamente io mi sono formato una idea personale chiaramente condivisibile o meno).
Ho avuto esperienza diretta di questi fatti vivendo a Mile End, poiche ho visto in prima persona ragazzi tentare di entrare in forza in un negozio di generi alimentari aperto 24h su 24 e da quello che urlavano e dicevano fra loro mi è parso subito chiaro che non erano cittadini modello preoccupati del corrente stato del Welfare nella capitale.
Oltre a questo il Guardian ha pubblicato alcuni BBM che ragazzi si sono scambiati sabato e domenica e chiaramente nei messaggi degli “organizzatori” di questi riots si legge nero su bianco di come tutta questa faccenda sia partita con il chiaro intendo dei medesimi di saccheggiare negozi.
Sono stato a Brixton domenica ed effettivamente il negozio Foot Locker è stato dato alle fiamme (il che farebbe pensare ad una protesta) ma non prima di essere stato saccheggiato! (Allora torniamo al punto di partenza)
Daniele Umoette
Stiamo aiutando i negozianti a mettere a posto le cose
Ciao, io vivo a Londra. La mia zona non ha avuto problemi in particolare ma ieri hanno chiuso i negozi alle 15.30 dopo i consigli della polizia.
La mia amica abita a Clapham ed è stata seguita da un gruppo di ragazzi neri. E’ salita subito in treno ed è venuta da me. Ieri è tornata a casa sua con la paura di trovare la macchina bruciata, invece niente. Sta dai suoi genitori ad Oxford perché ha paura di tornare a Clapham.
Questi ragazzi – anche bambini – sono annoiati con genitori che non sanno come educarli. Dicono che non hanno né speranza né soldi. Io non sono daccordo, è solo una scusa. Questi gruppi si organizzano tramite il Blackberry messenger, quindi hanno i soldi per comprare questi telefonini cari!
Comunque la gente è veramente scioccata e stiamo aiutando i negozianti a mettere a posto le cose e io dico “brava” alla polizia per il loro lavoro, ma non è il momento di diminuire la loro presenza perché per me questa situazione durerà ancora.
Sarah
Vogliono dimostrare che con la violenza possono prendere ciò che vogliono
Hello a tutti,
sono dei giorni di fuoco (letteralmente) ma il clima è sereno in Central London. Questa zona è semideserta (quasi tutti sono in ferie) e non è stata ancora colpita dalle rivolte se non per una circostanza riportatami da diversi residenti di Kensington: l’altro ieri dei ragazzi incappucciati hanno attaccato un rinomato ristorante di Notting Hill armati di mazze da baseball e coltelli, rinchiudendo alcuni clienti nelle toilet e nelle stockroom dopo averli “ripuliti” di gioielli e contanti. Più che protesta a me questa sembra una vera e propria rapina. Conseguenza: la sera seguente (ieri) a Notting Hill e High street Kensington erano eccezionalmente chiusi (barricati o con carta di giornale alle vetrine) quattro negozi su cinque e la polizia circolava in gran numero per tutto il quartiere.
Comunque non posso dare testimonianze sugli scontri, ma il feedback dei londinesi che sono disgustati da quello che sta accadendo alla loro amata capitale. Queste più o meno le “correnti di pensiero”: tutti quelli con cui ho parlato hanno affermato di non sentirsi per niente sicuri, è sconvolgente che la polizia sia intervenuta in questo modo inefficace e tardivo. In parte per colpa dei tagli del personale da poco inflitti alle forze dell’ordine e in parte per la disorganizzazione.
Alcuni capiscono i motivi degli scontri, o meglio perché tanti ragazzi “poveri” della periferia sentano il bisogno di distruggere per farsi sentire, ma comunque non li giustificano. La colpa è del welfare che li emargina e dei genitori che non sono in grado di gestirli.
La maggior parte di loro è comunque orripilata dalla violenza gratuita: perché solo rompere? Ci sono stati degli episodi di saccheggio, ma molti di più di semplice distruzione di piccoli esercizi. Il problema dei rioters è che non hanno colpito grandi catene multinazionali, magari Boots o McDonalds, o lussuosi negozi per soli ricchi o ancora il centro della politica ed economia (non si sono presentati a Downing Street). Hanno invece vandalizzato i piccoli business di persone comuni, business che hanno clienti comuni e guadagni modesti. Alcuni dei proprietari di queste piccole imprese sono degli emigrati (ad esempio la hairdresser italiana che ha zittito Boris), che con sacrificio hanno cominciato un’attività lontani da casa. I rioters non hanno usato la violenza contro le persone ma hanno attaccato la Community, l’insieme dei cittadini che vive Londra, che ora solidalmente ripulisce i propri quartieri e chiede risposte agli incappucciati e alla polizia.
Pochi stanno coi rioters e sono gli unici che giustificano il loro metodo distruttivo: cosa altro dovrebbero fare? Sono ragazzi con un background di ignoranza e povertà, la violenza nelle strade è l’unica cosa che conoscono e i ricchi sono il nemico, perché non li aiutano e li emarginano. Hanno capito che l’unione fa la forza e le intenzioni sono di dimostrare che con la violenza possono prendere ciò che vogliono. La colpa è dei genitori che non hanno insegnato ai figli cosa è bene e cosa è male.
Io non so cosa pensare, non mi sento in pericolo però non riesco a provare nessuna simpatia per questi giovani e non che non hanno messo insieme una protesta ma solo caos e vetri rotti.
Take care!
Claudia Magnini
Shock economy in London
Erano gli inizi degli anni ‘80 quando il primo ministro britannico Margareth Tatcher definì «il grande successo dell’economia cilena» quella effettuata da Pinochet attraverso genocidi, torture e terrorismo. L’unico rammarico della signora fu che gli ideali democratici inglesi non avrebbero permesso una simile strategia, ovvero quella che si chiama shockterapia.
La shockterapia è un insieme di metodi con cui si applica la shock economy. Fondamentalmente si tratta di approfittare di un disastro vero o inventato, casuale o pianificato per creare appunto dello schock, paura e panico improvvisi, in modo da destabilizzare una popolazione e attuare delle politiche di tagli alla spesa pubblica che riguardano, la sanità, l’istruzione, i trasporti, l’energia, tutto quello che è servizio per il pubblico, per cederle alle organizzazioni private. Il risultato è ovviamente un impoverimento generale della maggior parte della popolazione, la cui esistenza è ritenuta superflua, a fronte di un super-arricchimento di pochi. Tutto ciò che è di ostacolo alla shock economy viene bruscamente e violentemente interrotto con arresti a tappeto, rapimenti, ma anche con le torture che vengono attuate: scariche elettriche in tutto il corpo, deprivazione sensoriale, fame, sete, mancanza di relazioni, violenze e stupri, omicidi tutto per soggiogare le menti di chi è ritenuto inutile, al limite strumentale all’arricchimento dei pochi. Le persone che escono vive da queste situazioni, saranno devastate irrimediabilmente per tutta la vita, ma non nuoceranno più agli intenti dei pochi.
Nel 1982 Argentina e Regno Unito si contesero le isole Malvine, o isole Falkland, con una guerra che fece 255 vittime tra i soldati inglesi e 655 tra quelli argentini. Da quella guerra la Tatcher ne uscì come eroina; veniva chiamata, la «lady di ferro». Avevano un nemico e l’avevano vinto. Il primo ministro ne approfittò per continuare la sua politica vittoriosa anche per combattere i nemici interni, come i minatori dell’industria del carbone che nel 1984-1985 scioperarono contro la politica Tatcher che intendeva chiudere i pozzi pubblici del carbone per destinarli ad aziende private. Il primo ministro invio 8000 poliziotti che fecero circa 700 feriti tra i manifestanti, inoltre mise in atto un’azione di spionaggio del sindacato, soprattutto il suo presidente, Arthur Scagill. In breve tempo la Camera dei Comuni accusò il dirigente del sindacato di essere un agente segreto dell’MI5 (Military Intelligence – Sezione 5, agenzia per la sicurezza e controspionaggio del Regno Unito) e i servizi segreti sabotarono e destabilizzarono il sindacato. Alla fine gli operai affamati dalle politiche dei tagli della Tatcher desistettero e furono licenziati 966 operai.
Il Paese era dissestato (966 operai voleva dire 966 famiglie e tantissimi potenziali non elettori) e Margareth Tatcher aveva allora bisogno di un altro nemico per riunire il Paese. La signora utilizzò allora ciò che l’economista americano Milton Friedman disse nel 1982: che la crisi, reale o percepita che sia, è la sola a creare cambiamento. Si trattava di una crisi economica. Messi a tacere i sindacati la Tatcher ne approfittò per privatizzare molti settori pubblici. Fino a quel momento aveva ragione lei: non aveva avuto bisogno delle torture.
Agosto 2011 In modo apparentemente improvviso inizia una sorta di sommossa dalle classi più povere. Fin da subito si comprende che non è una manifestazione, non è una rimostranza, ma ha il sapore dell’attacco. Si comprende che le classi più povere abbiano motivo di ribellarsi, ma come mai organizzati in quel modo, con obiettivi ben specifici: si rubano televisori, scarpe di marca.
È un’elucubrazione personale, ma l’ipotesi di un’organizzazione a monte è ben forte. Chi ha fame non cerca un televisore, non cerca la tecnologia o le scarpe di marca, ma il cibo.
10 agosto 2011. Sto per alzarmi quando sento RAI News nell’edizione delle 7 del mattino, o poco prima, e mi giunge chiara per ben due volte la parola shock economy; nell’edizione dell’ora di pranzo su RAI 3 non la sento nominare. Eppure è rilevante, è importante.
Sul sito de Il Fatto Quotidiano si riporta quanto detto dal premier David Cameron «E “chiunque sarà incriminato per disordini violenti finirà in prigione”, senza preoccupazioni per i “diritti umani fasulli”». Chiunque è incriminato finisce in prigione e i diritti umani fasulli. Alcuni ragazzi sono già stati uccisi e qualche centinaio tra giovani, ragazze/i, bambine/i, è stato arrestato. Il fatto che per loro non saranno garantiti i diritti umani, in quanto fasulli, mi dice solo una cosa: li stanno torturando. Ed è questo il motivo di quel mio commento: «Fermate quell’uomo!».
Non mi stupirebbe sapere un giorno che, per esempio, quest’invasione sia stata fomentata, pianificata da Cameron stesso. Ripeto che, in base alla logica che Cameron ha avanzato: schock economy e non rispetto dei diritti umani, definiti «fasulli» sta facendo torturare i più giovani, assicurandosi così l’assoggettamento della categoria junior, soprattutto – immagino – di quella cresciuta con ideali di libertà, di uguaglianza, di un’equa ripartizione delle risorse per tutti, nonostante poi le politiche remassero contro questi stessi ideali.
Vorrei però concludere con un aspetto positivo: il fatto che altri giovani si sono radunati per pulire le loro città dalle macerie e dire: questa città e nostra, non di “teppisti” (più o meno assoldati aggiungerei). La schock economy infatti va avanti solo con l’isolamento delle persone. Comunicare, condividere, fare rete, dire e ribadire sempre “Questo è nostro e noi non devastiamo la città, ma la (ri)costruiamo” è la via per uscire da una situazione simile.
Sorriso
Aggiornato alle ore 15 dell’11 agosto 2011