Sono anni che penso che noi ambientalisti difendiamo nel tempo libero ciò che altri distruggono per lavoro. Da ciò si capisce che non abbiamo nessuna speranza di salvare la Terra (passatemi la frase grossa, grossa, grossissima!), a meno che non cambi il lavoro, che il lavoro diventi utile all’ambiente.
Quanti possono affermare in tutta onestà di praticare una attività lavorativa che sia davvero utile all’ambiente, o quanto meno che non lo intacchi direttamente od indirettamente? Ovverosia, quanti possono affermare di coniugare lavoro e reale utilità sociale?
Mi viene in mente questo nel momento in cui si ipotizza nuovamente, per l’ennesima volta, di mettere mano alle pensioni e di allungare l’età lavorativa. A parte la palese stupidità della proposta, che confligge col fatto che se tu allunghi l’età lavorativa i giovani avranno ancor meno occasioni di lavorare (e già ne hanno così poche), ma, a parte questo, quello che io chiamo “il lavoro forzato a vita” meriterebbe da solo la rivoluzione delle masse. Sia perché lavorare per quarant’anni o fino a 65 anni (e lavorare sette, otto, nove ore al dì) è immorale comunque, ma lo è ancor di più se il lavoro incide negativamente in modo diretto od indiretto sull’ambiente in cui viviamo.
Eppure oggi il lavoro purchessia è in testa alle preoccupazioni della gente. Quasi che dell’ambiente ce ne potessimo occupare solo quando abbiamo la pancia piena. Forse non è un caso che le preoccupazioni ambientali fossero ai primi posti nelle statistiche sulle priorità degli italiani ai tempi di Bettino Craxi, in cui sembrava che il nostro fosse il paese del bengodi. E non per niente proprio allora fu creato il Ministero dell’Ambiente.
E qui allora lancio una provocazione. E cioè che forse c’è un aspetto positivo in tutto questo, e cioè nel volerci rendere schiavi a vita del capitalismo. Oggi che i nostri parlamentari (quei figli di buona donna che vogliono aumentare l’età pensionabile ma non rinunciano ai loro vergognosi privilegi) mirano a seppellirci con gli strumenti di lavoro in mano, è arrivato forse il momento anche di ripensare al lavoro in se’. Chi l’ha detto che non possiamo finalmente cominciare a pensare a lavori che possano coniugarsi con le nostre reali aspirazioni ed anche con l’ambiente che ci circonda?
Un altro blogger di questo quotidiano, Simone Perotti, questo ragionamento l’ha fatto e ne ha tratto la conseguenza che il lavoro che pure aveva ed era anche ben remunerato non era fatto per lui e l’ha lasciato ed oggi vive molto meglio ed in pace con l’ambiente.
Certo, lui stesso nei suoi libri ammette di essere partito da una situazione privilegiata, ma se tutti cominciassimo almeno ad entrare in questa ottica, ed insegnassimo ai nostri figli (che sono il futuro) che non esistono solo i lavori dipendenti (ormai tra l’altro quasi solo a termine), e che quello che conta è stare bene dentro ed in pace con ciò che ci circonda e che non bisogna lavorare per i soldi, e che davvero non è questo che conta nella nostra breve vita. Se gli insegnassimo insomma che “l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene”, forse una piccola rivoluzione l’avremmo già fatta, nell’attesa che magari arrivi quella vera…
P.S. E adesso che si scatenino pure i troll…