Sui giornali degli ultimi giorni si raccontano le vicende che ruotano attorno ad un presunto giro di mazzette pagate da imprenditori, chiamiamoli così, all’ex Presidente della Regione Lombardia, Filippo Penati del Pd. Sempre i giornali ci raccontano che, secondo le ipotesi dei magistrati, a fare da collettori di tali somme, in alcuni casi sarebbero stati dei manager, chiamiamo anche loro così. Fatture per consulenze non meglio identificate con cifre a sei zeri. Sempre i giornali ci dicono che tra essi vi è anche un personaggio ignoto ai più, ma che incassa da Giuseppe Pasini, insieme ad un altro consulente, 1,6 milioni di euro di non meglio precisate consulenze (lui sostiene siano molto meno). I pm – ce lo dicono sempre i giornali – sospettano che tale personaggio sia uno dei collettori delle tangenti destinate a Penati.
Questo personaggio, oggi iscritto al registro degli indagati, si chiama Francesco Agnello. Per quel che se ne sa il signor Agnello è specializzato nel creare società che hanno come scopo quello di favorire l’insediamento sul territorio della grande distribuzione, in particolare delle Coop.
Di queste società il signor Agnello ne ha avviate parecchi e molte le ha avviate in Sicilia. Qui si chiamano tutte allo stesso modo: “Sviluppo….” con a seguire il nome della provincia o della località sulla quale agiscono. Vi è così “Sviluppo Palermo”, “Sviluppo Catania”, “Sviluppo Messina”, “Sviluppo Trapani”, “Sviluppo Ragusa”, “Sviluppo Licata”. Sono tutte società a responsabilità limitata con una quota fissa in mano alla Servizi Globali Generali (SGG) che fa capo a Gian Paolo Salami. Nella società che agisce su Messina, il signor Agnello ha alcuni soci e tra essi figura anche il Presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, promotore di un codice etico che dovrebbe vedere sbattuti fuori da Confindustria gli imprenditori in combutta con la mafia e il malaffare o che pagano il pizzo e non denunciano.
In un altro affare, quello della Stazione Lolli a Palermo il signor Agnello è in affari con un altro paladino della legalità confindustriale, l’imprenditore nisseno Antonello Montante, dirigente nazionale di Confindustria con delega proprio ai temi della difesa della legalità. Il signor Agnello ha definito entrambi come “suoi amici”. Amicizia che – per quel che se ne sa- non è stata smentita dagli interessati.
Insomma un presunto collettore di tangenti sta in società con i paladini dell’antimafia confindustriale, naturalmente ignari nella loro ingenua buonafede, e come si può pensare diversamente, delle magane del loro socio.
Al di là degli esiti giudiziari questi rapporti fanno venire alcuni dubbi sulla coerenza personale di alcuni personaggi di spicco di Viale dell’Astronomia.
La Confindustria siciliana ha segnato – almeno a parole – un’importante rottura. Va detto con chiarezza e a scanso di ogni equivoco che tale rottura, anche se si fosse limitata solo alle parole nei convegni e sui giornali, rappresenta una cesura con i modelli precedenti. Per questo una serie di interrogativi sui comportamenti dei promotori di questa battaglia di legalità vanno posti, anche se per i sacerdoti di un certo conformismo tali interrogativi possono puzzare di eresia.
I rapporti tra Ivan Lo Bello, Antonello Montante e Francesco Agnello vanno chiariti e chiariti al più presto. Va spiegato e chiarito perché entrambi abbiano intessuto affari con personaggi di tal fatta. Quali sono i loro rapporti con un personaggio, che al di la della rilevanza penale dei suoi atti, si muove su un terreno scivoloso come quello della mediazione di affari, di attività di lobbying, che agisce in uno spazio dove il confine tra illegalità e legalità si mostra della stessa consistenza che hanno i sogni e dove anche tutto ciò che si fa senza violare il codice penale non sempre è moralmente e politicamente lecito.
Rapporti che assumono un peso specifico maggiore se li si inserisce in un quadro di comportamenti pregressi. Ad esempio, va chiesto al Presidente regionale di Confindustria Sicilia se è eticamente lecito non aver assunto alcun provvedimento seppur provvisorio come la sospensione, nei confronti dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo, indagato a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa, che è tuttora regolarmente iscritto alla Confindustria “della legalità”. E ancora sempre a Catania è cosa lecita moralmente nominare come commissario, dopo la defenestrazione dell’ex presidente Fabio Scaccia, il cavaliere del Lavoro Ennio Virlinzi, uno dei grandi affaristi della città, all’epoca della nomina sotto inchiesta per lo scandalo dei parcheggi di piazza Europa? Virlinzi è poi stato assolto in primo grado con una sentenza costruita unicamente sulla perizia firmata dall’ingegner Guido Mouteir, ex candidato presidente della Provincia di Lucca per Forza Italia. Una sentenza contro la quale la Procura sta preparando il ricorso in appello.
Quando su l’Unità raccontai della nomina di Virlinzi, Ivan Lo Bello rispose che aveva “assunto per brevissimo tempo un ruolo che lo statuto impone sia ricoperto dall’ultimo past president e che si limita a una serie di atti formali! Ruolo che è cessato prima del rinvio a giudizio”. Una spiegazione che, come verificai personalmente si rivelò falsa, in quanto tale norma non esiste e comunque dopo Ennio Virlinzi vi erano stati ben altri due Presidenti.
Mentire a un giornalista non è reato, ma farlo è da ritenersi cosa eticamente lecita per chi fa della legalità la propria bandiera?