Questa mattina ho trovato una lettera in una bottiglia in mezzo al mare ferragostano. Chi scrive è un naufrago della politica, deluso da (quasi) tutto, disperso in un’isoletta senza speranza. Scrive per sfogarsi. E per chiedere, disperatamente, l’ultimo aiuto.
È, evidentemente, uno di quelli che ha creduto ciecamente in “capitan Berlusca“, che ha ciecamente combattuto per lui tutte le battaglie. Senza discutere gli ordini, ricacciando i dubbi in fondo alla sua intelligenza. Andava all’assalto dei nemici con il coraggio di chi è convinto di stare dalla parte del giusto, dalla parte del bene. Ha fatto la faccia cattiva nella convinzione di essere un buono. Ha percorso le strade dell’impossibile per giustificare le peggiori malefatte. Era convinto che il suo “capitano” fosse un ufficiale di marina e solo da poco ha scoperto che in realtà era il peggiore dei pirati. Si è guardato attorno, con altri occhi, e invece di marinai ha visto ladri e galeotti.
Gente che ruba ai poveri per diventare ricca. Gente che frequenta i peggiori bordelli del paese. Gente che si fa il segno della croce prima di commettere i peggiori crimini. Disperato, si è buttato in mare. Con un ultimo sguardo ha visto la vera bandiera della sua (ex) nave). Non il tricolore ma il teschio in campo nero.
Ha scritto questa lettera raccontando queste cose. E gettando al mare l’ultimo appello: ho sbagliato, perdonatemi, se potete. Salvatemi dal mio destino. Sono pronto a lavorare per il mio paese.
Stavo per stracciare il messaggio. Ma alla fine ho pensato di renderlo pubblico. Qualche buon’anima, magari, avrà più compassione di me.