L’imprenditore ubriaco che l’altra sera ha viaggiato per 30 chilometri sull’A26 in senso contrario uccidendo, alla fine, un gruppo di giovani studenti francesi in viaggio per le vacanze, è tuttora a piede libero. Almeno, lo è mentre scriviamo.
Qui non ci interessano né il suo nome, né la sua nazionalità, né tantomeno che fosse reduce da una seratona in una discoteca della riviera in compagnia di “un’amica”, lasciata la moglie a casa probabilmente ad accudire i figli.
E non vogliamo nemmeno occuparci della questione penale: ognuno di voi è libero di sentirsi soddisfatto del garantismo con cui si trattano i soggetti alterati al volante (“scusatemi, avevo un po’ bevuto e un po’ sniffato, l’ho ammazzato ma non l’ho fatto apposta”), oppure di ritenere che una settimana di galera in una cella con proiezioni ininterrotte di corpi mutilati e uccisi dagli automobilisti ubriachi (le auto sono soltanto armi improprie, dipende da come le si usa, come i picconi) potrebbe essere una giusta punizione (i tedeschi lo fanno).
Qui segnaliamo, viceversa, un paio di argomenti di riflessione. Entrambi, evidentemente, legati al settore civile della giustizia.
Nell’incidente sono morti 4 giovani ed un quinto è rimasto ferito.
Non so quanti di voi abbiano mai avuto a che fare con il risarcimento del danno, uno dei più importanti settori della convivenza civile. In via teorica, il risarcimento dovrebbe essere automatico, a carico dell’assicurazione contratta dal responsabile dell’incidente.
Esistono apposite tabelle per calcolare il danno subìto (in un incidente, ma anche durante un intervento chirurgico non riuscito) e i conteggi sono noti a tutti gli assicuratori italiani, oltreché ai tribunali che li hanno stilati.
Una giovane vita bruscamente interrotta, ad esempio, vale molto. Diciamo che un milione di euro può identificare questo danno, per la famiglia che l’ha subìto.
Possiamo ipotizzare che le famiglie degli studenti francesi chiederanno il massimo (e fanno benissimo). Il console onorario francese di Genova ha già accennato a una possibile inchiesta delle autorità francesi sull’accaduto.
Nessun giornale ha riportato il nome dell’assicurazione che monsieur lo sbronzo dovrebbe avere sul cruscotto. Guarda caso, sono quel tipo di informazioni di nessun conto, eppur così rilevanti nella nostra vita quotidiana. Diciamo comunque che, se si tratta di una compagnia non di prima grandezza, potrebbe persino accadere che, lasciati spegnere i riflettori mediatici sulla storia, decida di comportarsi nella maniera standard, e cioè rifiutando di ammettere la colpa, per non dover pagare immediatamente.
Circa il 20 per cento delle cause che intasano i tribunali civili italiani è intestato a un’assicurazione. Moltissime di queste cause si trascinano nel tempo grazie a uno dei fenomeni più noti del sistema giustizia Italia, ovvero quello dei testimoni falsi. L’automobilista in torto trova quasi sempre un parente o un compare-comare che gli danno man forte nel negare i fatti e ricostruirli a proprio uso e consumo. Pensate che l’assicurazione della controparte provi a smascherarli? Ma neanche per sogno: una mano lava l’altra, se io accetto oggi il tuo teste fasullo, domani tu accetterai il mio.
Se l’assicurazione coinvolta in questo incidente di Ovada è poi una prima stella nel firmamento delle compagnie, allora applicherà una strategia meno rozza. Ad esempio, manderà in campo fior di nomi altisonanti come periti che – sempre quando i riflettori mediatici saranno spenti – cominceranno ad abbassare il valore della perdita subìta.
Questo è appunto il secondo argomento di riflessione: il mercanteggiamento (o l’aggiustamento) dei periti e delle perizie.
Naturalmente, tutto ciò riguarda la giustizia civile poiché, di solito, le liti tra assicurazioni finiscono in tribunale e durano quarti di secolo soprattutto quando le cifre in gioco sono alte. Riguarderebbe anche la giustizia penale, essendo un reato la falsa testimonianza (o la perizia infedele) ma in un paese come l’Italia se lo citi ti ridono dietro.
Nel nostro piccolo, vi promettiamo che – in questo particolare caso – seguiremo il corso degli avvenimenti e vi aggiorneremo sull’epilogo. Nel frattempo, sarebbe significativo che l’imprenditore in questione, a prescindere dal fatto che resti o meno a piede libero, insista presso la propria assicurazione ammettendo la propria colpa e chiedendo il risarcimento immediato per le famiglie dei ragazzi francesi. Pensate che accadrà?