Il regista Prakash Jha con gli attori del film "Aarakshan"

È uscito alcuni giorni fa, ma ancora prima di apparire sul grande schermo il film indiano Aarakshan, che in hindi sta per l’inglese “reservation”, è stato vietato nelle sale prima in Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell’India, poi in Panjab e infine in Andhra Pradesh. E sta scatenando una polemica infuocata fra chi difende il diritto di fare politica tramite un film, chi dice che l’arte dovrebbe essere apolitica, chi afferma che il problema sollevato non è stato risolto e chi dice che non spetta a un’opera d’arte risolverlo. E ancora, fra chi sostiene che toccare le corde di un argomento così sensibile come le quote riservate agli strati sociali svantaggiati nei posti pubblici sia pericoloso e chi ritiene che censurare un film non sia degno di quella che viene chiamata “la più grande democrazia del mondo”, un paese che si avvia a diventare la terza economia mondiale dopo Stati Uniti e Cina.

Aarakshan è un classico film di Bollywood, ma tocca uno dei temi più controversi dell’India: la legge della “Reservation”. Racconta la storia di Prabhakar Anand, impersonato dal famoso attore Amitabh Bachchan, il leggendario rettore di un college che grazie a lui è diventato il migliore del suo Stato. Il suo leale discepolo Deepak Kumar si innamora di sua figlia Poorbi, impersonata dalla 25enne star Deepika Padukone. Nella trama non manca l’amico di Deepak, Sushant. Il Dr. Prabhakar, uomo di alti principi, accetta nel college la “Reservation”, la legge delle quote riservate alle Comunità svantaggiate (Backward classes), alle Scheduled classes e Scheduled tribes, cioè i gruppi etnici cosiddetti “tribali” e i Dalit, quelli che prima dell’indipendenza e della costituzione venivano chiamati pariah ed erano i “fuori casta” o intoccabili, quelli che Gandhi ribattezzò Harijan, “figli di Dio”. Alla decisione del rettore si oppone però il Consiglio di facoltà e lui decide di dimettersi. Viene eletto così un nuovo rettore che inaugura una sessione di lezioni proprio nel bungalow di Prabhakar, rimasto senza casa dopo le dimissioni.

Sembra uno dei soliti “blobboni” di Bollywood dove all’amore, all’amicizia e al dramma morale si mischia il tema sociale, eppure il film ha scatenato un vespaio. La decisione di vietarne la proiezione è stata presa sulla base della relazione presentata da un comitato ristretto di alti membri del Bahujan Samaj Party (BSP) , il “partito della maggioranza” che rappresenta proprio le Scheduled classes, le Scheduled Tribes e i gruppi svantaggiati ed è il terzo partito dell’India. Il capo del BSP è la signora Mayawati Kumari, primo ministro dell’Uttar Pradesh e Dalit. Quella che poco tempo fa ha fatto costruire sulle rive del fiume Gomti, un tributario del Gange, una fila di 60 giganteschi elefanti in arenaria fra i quali c’è proprio lei, che con questa statua ha voluto onorare la memoria dei grandi Dalit del passato, come B. B. Ambedkar. E se stessa. Così amata dal popolo che, durante una manifestazione, è stata salutata in mezzo alla gente in visibilio, con una ghirlanda fatta di banconote da 1000 Rupie l’una, un omaggio che l’agenzia delle tasse indiana ha stimato del valore di 1,2 milioni di dollari.

Mayawati ha proibito la proiezione per due mesi con la motivazione che avrebbe creato disordini sociali e legali a causa degli opinabili dialoghi dei membri del Consiglio di facoltà. I membri comitato del BSP hanno dichiarato che la proiezione del film avrebbe potuto avere un impatto negativo sulla legge della discriminazione positiva, che favorisce anche le donne con il 33% di quote riservate nei panchayat raj, una forma tradizionale di governo di villaggio tramite assemblea, e nei comuni – ma non in parlamento.

Prima ancora che il governo dell’Uttar Pradesh vietasse il film, la Commissione nazionale per le classi svantaggiate e i Dalit hanno chiesto al Comitato per la censura di fare i necessari cambi nei dialoghi del film, obbiettando che sarebbero “spregiativi” verso la loro comunità, e che il regista Prakash Jha sarebbe “anti-Dalit” e “contro la Reservation”. Alla decisione dell’Uttar Pradesh è seguita quella del Panjab, che ha sospeso la proiezione fino a data da stabilirsi. Il governo ha chiesto ai prorettori delle maggiori università dello stato di vedere il film e stilare un rapporto entro sabato. Il regista si è detto disponibilissimo ad apportare subito i cambi necessari.

Dura e unanime la recensione del film in quasi tutti i maggiori quotidiani nazionali, come The Times of India. I media e i politici si stanno schierando contro il film presumibilmente per un esplicito razzismo verso certi gruppi sociali. Eppure la realtà in India è nota. I bramini, che in teoria sono i più avvantaggiati fra tutte le classi sociali, sono spesso anche i più poveri, costretti a lasciare gli studi e a svolgere mansioni umilissime per sopravvivere, tanto che da anni autorevoli media si chiedono se non siano diventati i moderni Dalit.

I bramini però costituiscono il 5 per cento della popolazione totale dell’India mentre le Scheduled Castes, Scheduled Tribes e le Backward Castes costituiscono il 54 per cento. Che aggiunto agli altri che godono delle quote riservate, musulmani e cristiani, fa il 63 per cento. Se poi si contano anche le donne, la percentuale schizza in alto. Una bella riserva di voti: in pratica, da sole le classi economicamente svantaggiate possono far vincere o far cadere un governo. Sarà per questo che anche la sola discussione in un film sulla Reservation è tabù?

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