Sarkozy e Merkel dettano la nuova strategia della politica economica del Vecchio Continente: no agli eurobond, sì alla tassa sulle transazioni finanziarie, sul pareggio di bilancio nelle Costituzioni e sulla promozione della crescita
Adesso Basta. Angela Merkel e Nicholas Sarkozy non lo dicono esplicitamente ma “il fumetto”, come si dice in questi casi, è ben visibile sopra le loro teste. Sono le sei del pomeriggio a Parigi quando i due massimi leader de facto dell’Eurozona prendono la parola davanti ai giornalisti per lanciare quel messaggio che era nell’aria da tempo. La crisi è entrata in una nuova fase, l’Europa è sempre in pericolo e per questo serve una guida forte nel percorso verso la luce alla fine del tunnel. Una guida franco-tedesca, naturalmente.
Ebbene sì. Il messaggio di fondo è ormai chiaro. Parigi e Berlino prendono ufficialmente la guida della carovana europea lanciando una nuova politica di gestione dell’economia del Vecchio Continente. E allora via a una “più stretta collaborazione” tra i due Paesi per dettare nuove strategie a difesa dell’euro, del sistema europeo e, soprattutto, della credibilità dello stesso sui mercati. Una credibilità messa a rischio dalla clamorosa ondata speculativa che ha assalito le piazze nell’ultimo mese penalizzando tutti quanti, dalle locomotive “virtuose” alle periferie del continente. Ed è anche alla speculazione che Germania e Francia fanno riferimento quando decidono di mettere in chiaro i punti cardine della loro ricetta: sì alla tassa sulle transazioni finanziarie, no (almeno per il momento) agli eurobond. Una ricetta, verrebbe da aggiungere, che rappresenta una piena bocciatura della linea italiana che proprio in un’ipotetica emissione congiunta di obbligazioni europee aveva individuato la principale strategia di salvezza.
“Spagna e Italia prendano decisioni forti per il sostegno della credibilità” ribadisce il duo Merkel-Sarkozy, come a dire che Madrid e Roma non sono più nella posizione di avanzare richieste. Il credito, in questo senso, è ampiamente esaurito e la sentenza l’ha emessa il mercato. Sono bastate tre settimane di panico finanziario per far esplodere le obbligazioni italiane lanciando in orbita gli spread tra i Btp e i bund tedeschi. Un processo di deterioramento della finanza pubblica frenato solo dal provvidenziale intervento della Bce che ha deciso di farsi carico dei titoli della Penisola “drogando” in modo terapeutico una domanda già “drogata” di suo, per altro, dall’azione degli speculatori.
Ma i piani di salvataggio, come detto, finiscono qui. Il fondo salva Stati non sarà incrementato e il Continente, leggasi la Bce, non si indebiterà più per sostenere il rifinanziamento dei deficit nazionali. Ora l’Europa deve avanzare con giudizio e per farlo ci sono solo due strade da percorrere in modo congiunto: il pareggio di bilancio e la promozione della crescita. E non si venga a parlare di “sovranità nazionale”, questione che al momento pare incompatibile con le esigenze comuni dell’Unione monetaria. Il presidente francese e la cancelliera tedesca lo dicono chiaramente facendo così intuire quello che a molti era parso di vedere in casa nostra con un certo anticipo. A prendere le decisioni chiave per la gestione dell’economia italiana non saranno né Silvio Berlusconi né il suo commercialista Giulio Tremonti. A operare le scelte decisive, semmai, è già da qualche tempo la Bce che ora, su suggerimento dell’asse franco-tedesco, dovrebbe imporre il pareggio di bilancio come norma costituzionale valida per tutti. Difficile, in questo senso, credere che sia stata la pensata di Tremonti a ispirare l’accoppiata Berlino-Parigi e non, piuttosto, l’esatto contrario.
Tralasciando l’annoso capitolo della tassa sulle transazioni finanziarie (quella che Berlusconi definì “ridicola” vantandosi addirittura di averne scongiurato l’introduzione in Europa), resta aperta la questione “crescita”. Francia e Germania sembrano aver capito la lezione greca: senza sviluppo economico i piani di austerità producono solo recessione alimentando la sfiducia dei mercati e vanificando gli sforzi di rientro sui conti. Per questo, spiegano i loro leader, occorre promuovere il rilancio dell’economia europea. Ad oggi, forse, la sfida più difficile. La manovra italiana, hanno rilevato in modo sostanzialmente unanime Confindustria e Cgil, non contiene alcun provvedimento di stimolo al sistema economico lasciando così irrisolto quello che da almeno vent’anni si impone come il principale problema nazionale. Ma di questi tempi, purtroppo, non è solo l’Italia a fare i conti con la stagnazione. Nell’ultimo trimestre l’economia Ue è cresciuta appena dello 0,2% e la Germania ha fatto ancora peggio chiudendo il periodo aprile-giugno con un misero +0,1. Il rallentamento dell’economia mondiale, l’aumento del prezzo del petrolio e il calo dell’export continentale, insomma, pesano non poco sulla locomotiva teutonica che da troppo tempo si era ormai abituata a viaggiare su ritmi che non si percepivano dai tempi della riunificazione. “Il boom è finito”, scrive oggi l’autorevole Sueddeutsche Zeitung. La terapia, sembrano invece rispondere Merkel e Sarkozy, è appena all’inizio.