Stavolta non c’è nulla di complicato. Infuria la lotta di classe, col Capitale (direbbe quel tale) che picchia senza scrupoli i Lavoratori. In realtà le cose non stanno esattamente così: il “capitalismo” come l’abbiamo conosciuto non esiste praticamente più da una ventina d’anni (è diventato automatico, e incontrollabilmente non-umano), e sarebbe anche ora di trovargli un altro nome.
Quanto ai lavoratori (di qualunque lavoro si tratti, alcuni assai strani), si sfruttano in buona parte da sé medesimi, anch’essi in automatico, senza saperlo. Marchionne non è un “padrone” (né lo è il compagno Chin-chi-lao della Commissione Industria del Partito comunista cinese, che sempre più gli somiglia), ed entrambi non comandano in quanto proprietari di qualcosa.
Il computer su cui scrivo, infine, in parte è ancora una “merce” e in parte no; è merce l’hard-disk faticosamente e marxisticamente costruito dai bambini cinesi, ma non lo è affatto il bel design, che invece è un prodotto culturale, che però pesa – nel mercato moderno – per più della metà.
Siamo insomma contemporaneamente nel 1810 e nel Tremila, e questo crea qualche problema nel capire le cose, abituati come siamo a ragionare seriamente solo ogni cent’anni (Marx, Keynes, Gandhi…) e per il resto a fare o resistenza o nostalgia.
Sarebbe ora di rimetterci a lavorare di buzzo buono su queste cose, perciò se fra i nostri l’ettori c’è qualche piccolo Marx o Keynes potenziale (cosa niente affatto improbabile, con la cultura di massa e dell’internet che la spamma in giro dappertutto) lo prego di mettersi subito all’opera senza perder più tempo con la “politica” corrente, il Nintendo e gli altri giochi.
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Fine della parentesi. In Italia, distrutte le garenzie democratiche (e keynesiane, che erano inseparabili da esse) si va al muro contro muro, e prima ce ne rendiamo conto meglio è. Il fulcro non è Berlusconi ma Fiat. Quest’ultima è il prodotto più apertamente esplicito di un sistema che ormai comprende tranquillamente anche la mafia, in senso lato, ed ecco perché è così importante (a parte legalità ed etica, che pure sono i nostro software di fondo) la lotta antimafia, su cui si decide quasi tutto. Siamo all’altezza? No. Non parlo dell’antimafia mediatica (che pure qualche rara volta ha una sua funzione) ma proprio di noi, l’antimafia di base, quella che lavora ogni giorno, quella reale.
Non riusciamo a “far politica” e a fare rete, non quanto occorre, e anzi in questi mesi, nel nostro piccolo mondo (che poi tanto piccino non è) i passi indietro sono stati più dei passi avanti. Non solo sul piano concreto, delle cose prodotte, dei “risultati”, ma proprio nello stato d’animo, nel nostro modo di essere, sempre più individualista e tribale e sempre meno modernamente e coscientemente coordinato.
Non faccio esempi (per ora) per carità di tribù, ma credo che ci capiamo. Nella rete informale di Ucuntu, che è un buon esempio per capire tutto il resto, non c’è un solo nodo che funzioni veramente in rete; ciascuno fa quel che deve fare per sé, e rimanda al domani (o rimuove) le cose altrettanto importanti che dovremmo e potremmo fare insieme.
Così non ce la facciamo, o meglio ci illuderemo di farcela ma resteremo in sostanza – per difetto di massa critica – sempre subalterni. Quando non avremo più un Berlusconi a tenerci insieme e dovremo affrontare, al posto suo, i gattopardi, verremo assorbiti da questi ultimi senza nemmeno accorgercene. Perché nel mondo moderno o si è rete o si è spettatori. Non c’è via di mezzo.
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Un’eccezione, nella geremiade di cui sopra, è rappresentata dai ragazzi di Liberainformazione, che affrontano con serietà e coraggio, e spirito unitario, la solitudine in cui li ha precipitati la scomparsa del loro maestro, Morrione. “Non siete soli in realtà, coordinate le forze” è stato l’insegnamento di Roberto, e avendolo compreso vanno avanti.
Un’altra eccezione è quella dei ragazzi di Modica, del “Clandestino”. Non solo hanno continuato a sviluppare lo specifico lavoro della loro zona (questo lo fanno anche gli altri), ma hanno sempre cercato di tenersi in rete, di sapere quel che si faceva altrove, di non considerarsi autosufficienti e soli. Per questo il loro incontro è importante: è un modello per tutti, e va sottolineato.
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Modica, all’estremo Sud dimenticato, è il posto migliore – a questo punto – per fare un annuncio importante, il salto di qualità a cui tendevamo in tutti questi anni. Da settembre si apre un capitolo nuovo. Ucuntu, Lavori in Corso, Casablanca e tutto il resto sono tappe utilissime di un viaggio che non è finito, che non si esaurisce in nessuna di esse e che anzi deve ancora toccare i suoi obiettivi più importanti.
Insieme, in rete, come nei momenti più alti, più avanti ancora e più in rete ancora: a Modica, e dopo Modica, comincia un altro pezzo di strada.