L’imprenditore edile è dunque finito in carcere. Lo volevano i parenti delle vittime e buona parte dell’opinione pubblica, ma a determinare la svolta non sono state rabbia e indignazione. Sono stati determinanti, sostengono gli inquirenti, “l’evoluzione del quadro probatorio”, arricchito con nuove testimonianze, la ricostruzione del folle viaggio in contromano sull’autostrada, e il profilo della personalità di Beti. E, infine, il rischio di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove.
Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefano Moltrasio, viene fatto osservare che il grado di ubriachezza di Beti non era tale da potere ritenere “grandemente compromesse” le “capacità intellettive e valutative”. Inoltre, sapendo di guidare una della auto più sicure e possenti, “un tremendo bisonte stradale”, Beti sapeva che al rischio fatto correre agli altri non corrispondeva serio pericolo né per lui, né per l’amica russa che dormiva sui sedili posteriori.
Beti, inoltre, aveva già avuto una condanna per guida in stato di ebbrezza, ed era stato protagonista di un’aggressione a un automobilista, al quale aveva puntato un cacciavite alla gola. Infine, prima di provocare il tremendo incidente e quando ancora guidava nella giusta direzione, aveva litigato con un altro automobilista, costringendolo a fermarsi dopo “avergli tagliato ripetutamente la strada”. A testimoniare contro l’albanese sono i 13 automobilisti che, dopo esere riusciti a schivare il Suv, hanno suonato clacson e lampeggiato, cercando disperatamente di fermare il bolide in contromano.
Nell’ordinanza Beti viene descritto come “soggetto irascibile e violento soprattutto quando si pone alla guida di veicoli a motore”. Ma uno dei legali che lo assistono Giancarlo Triggiani, contesta l’ipotesi di omicidio volontario: “Mi sembra – dice – una costruzione un pò ardua da sostenere”.
Intanto, proprio oggi il legale dell’associazione Familiari e Vittime della strada, Domenico Mussicco, ha apprezzato l’iniziativa del governo di individuare un’ipotesi autonoma di reato di ‘omicidio stradale’. Reato che, secondo il ministro della giustizia Nitto Francesco Palma, sarebbe “più pregnante” per punire situazioni come quella verificatasi sulla A26.