LUGANO (Svizzera) “Ma come ci si può fidare dei politici italiani?”. A chiederselo, in questi giorni di grandi manovre, sono i leghisti ticinesi di Giuliano Bignasca, cugini dei leghisti nostrani (stessi toni, stesso imprinting politico). Al solo pensiero che il governo possa  ritassare i capitali scudati, il “nano” Bignasca, reduce da un grande successo elettorale spinto proprio dai sentimenti anti italiani, mette il dito nella piaga: “Ma diteci voi come ci si può fidare di quei politicanti se trattano così i loro stessi cittadini! – si legge sul sito del Mattino online, il giornale di partito della Lega dei Ticinesi – che razza fantastica i politici italiani! Hanno una fantasia enorme, quando si tratta di fregare il prossimo, e una memoria cortissima, quando si tratta di mantenere le promesse fatte!”.

Il riferimento, chiaramente è ai soldi ritirati dai caveau delle banche elvetiche e rientrati agevolmente in Italia e a bassissimo costo con l’operazione del governo. “Tantissimi risparmiatori italiani – incalza Bignasca – hanno pensato che fosse una buona opportunità per tenere tutti i loro averi in Italia… certo, si potevano immaginare che dopo neanche due anni i poltronisti di Roma si rimangiassero totalmente gli accordi pattuiti e decidessero di inserire una tassa nella nuova manovra per quei soldi! Adesso, forse per stemperare gli animi già bollenti (mamma mia quanto fa caldo ad agosto in Italia!), si parla solo di un 1-2%, ma nulla di strano che si arrivi in un batter d’occhio al 5%, mettendolo in quel posto a tutti coloro che si erano fidati del governo e avevano considerato chiusa la vicenda”.

A metterci il carico da novanta interviene la leghista Roberta Pantani: “L’Italia è un Paese di cui oggi non possiamo fidarci – dichiara su TicinoNews – l’Europa e i mercati finanziari hanno di fatto accelerato i passi per una manovra finanziaria che avrebbe dovuto mettere una pezza ai disastrati conti pubblici italiani. Le proposte sono state quelle di mettere le mani nelle tasche dei soliti, per fare in modo che altre categorie (o meglio “caste”) non venissero toccate da provvedimenti economicamente “svantaggiosi”. L’ultima trovata è quella della tassazione dei capitali che lo scorso anno sono rientrati attraverso gli scudi fiscali. Soldi rientrati in parte per finanziare aziende, per salvare le proprie attività in periodo di crisi economica, soldi derivati da eredità e da risparmi e non certo da operazione delittuose, che vengono ancora una volta tassati perché non si riesce a vedere il fondo del “buco nero” del debito pubblico. Una presa in giro”.

E, oltre al danno, anche la beffa del cambio euro – franco, che in pochi mesi ha raggiunto la parità: “Coloro che non si sono fidati della sirena dello Scudo fiscale, non solo non hanno i problemi di quelli che hanno seguito gli inviti governativi, ma si trovano pure con un capitale (in franchi) cresciuto del 35% grazie al cambio tra euro e franco svizzero”.

Il tema dello scudo fiscale è stato per mesi al centro di un acceso braccio di ferro tra il Canton Ticino (in balia dei leghisti) e i comuni di confine italiani, da dove ogni giorno partono migliaia di lavoratori che passano la frontiera in cerca di un impiego ben retribuito. Dalla Svizzera i leghisti, che non hanno digerito la mossa di Tremonti di far rientrare i soldi in Italia, hanno giocato la carta del blocco del 50% dei ristorni, i soldi delle tasse dei lavoratori frontalieri che ogni anno vengono versati da Berna a Roma. Sulla questione si è mossa la politica italiana, che per settembre ha convocato un tavolo bilaterale per trattare la soluzione del problema (fondamentale per i bilanci dei comuni di confine).

Nonostante l’interessamento di Lega Nord e Pd, per i ticinesi la vicenda è ancora tutta da affrontare e il blocco della metà dei 57 milioni di franchi del ristorno dell’imposta alla fonte dei frontalieri, congelata a fine giugno, per ora rimane. E rimarrà finché sulla carta non saranno presi impegni concreti capaci di soddisfare le richieste elvetiche: la cancellazione dalla black list, la fine dell’accanimento verso la piazza finanziaria svizzera, e la riduzione dell’aliquota dei ristorni da versare ai comuni di confine. Ora, con l’ipotesi di uno scudo fiscale bis ventilata da Tremonti & co, si mette nuovamente in crisi la trattativa: in ballo ci sono i bilanci delle amministrazioni locali più vicine al confine svizzero e buona parte degli oltre 40 mila posti di lavoro dei frontalieri italiani, che la lega dei ticinesi minaccia di contingentare.

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