L’Associazione Contribuenti Italiani sforna frequenti e indefesse indagini – anche ad agosto! – per esempio sui nullatenenti che possiedono yacht di venti metri o cassette di sicurezza a Lugano, sulle migliaia di auto blu della Casta, ma anche, ultimamente, sugli imprenditori e commercianti cinesi che non pagano le tasse. E fanno figurare l’Italia al primo posto in Europa per l’evasione fiscale della comunità cinese il che è tutto dire (nelle classifiche deteriori siamo sempre in testa, in quelle su parametri virtuosi arretriamo). Il presidente dell’Associazione, Vittorio Carlomagno, propone addirittura di “Non rinnovare il permesso di soggiorno a tutti gli immigrati che non risultano in regola con il pagamento di imposte e contributi” alzando il tiro forse un po’ troppo.
Una proposta che sembra più una provocazione e ne accompagna un’altra più sensata:“Analizzando i dati – dice Carlomagno – emerge che nei distretti dove la comunità cinese è maggiormente presente, è stato rilevato un indice di evasione fino al 98%. Bisogna subito rafforzare i poteri di verifica e controllo fiscali conferendo poteri di Polizia tributaria ai Vigili urbani ed ai Carabinieri. Da sola la Guardia di Finanza, che da tempo opera con successo sul fronte dell’evasione fiscale, non può fronteggiare un’evasione così diffusa”.
A Milano il fenomeno è piuttosto evidente. Eppure nella settimana di ferragosto e dintorni, le attività commerciali cinesi sono le uniche aperte mentre nei negozi italiani i manichini impellicciati attendono il ritorno dei vacanzieri nella vana speranza di scucire loro qualche soldo per l’abbigliamento autunno-inverno nonostante i tagli della finanziaria. I cinesi non vanno mai in ferie e aiutano a mantenere l’aspetto civile della città, come e ancora più degli arabi o turchi che arrostiscono kebab o dei sudamericani che vendono verdura e frutta.
Continuano a lavorare ristoranti cinesi che servono sushi “all you can eat” – dove si mangia tutto quello che si vuole per 12 euro a pranzo e 18 euro a cena – ma anche i negozi di abbigliamento e gli empori con svariati prodotti (dai detersivi ai binocoli) e così via. Vi si inchioda il computer? Nessun problema, a Chinatown, cioè via Paolo Sarpi e dintorni – dove l’ex sindaco Letizia Moratti pur di fare un dispetto ai cinesi ha creato un’area pedonale in una città dove si può arrivare in macchina praticamente sul sagrato del Duomo – troverete sempre un negozio aperto che ve lo sistema in poche ore. Una gran cosa rispetto a quando tutta la città era chiusa per ferie. A pensarci bene però si ricorda raramente di avere ricevuto uno scontrino a fronte della preziosa prestazione pagata, indipendentemente dalla stagione (nei ristoranti, soprattutto grazie ai pagamenti con carta di credito, il fenomeno sembra meno presente).
E tutto questo mentre gli esercizi commerciali cinesi crescono come funghi dopo un temporale estivo soprattutto grazie a un sistema risparmio sui costi (non sempre legali) e di prestiti rastrellati anche in modo informale nelle comunità di riferimento ma da onorare costi quello che costi. Perché il sistema non perdona. Nelle carceri, crescono i detenuti cinesi e sono talvolta persone che hanno compiuto reati come il sequestro di connazionali per ottenere la restituzione di somme di denaro prestate.
Tornando all’indagine dell’Associazione Contribuenti Italiani, come si diceva, “l’Italia è al primo posto in Europa per evasione fiscale da parte dei cinesi”: ma quali sono le tasse evase? A non essere pagate sono le imposte locali ma anche l’Irpef e l’Iva, cioè quelle tasse basilari connesse al commercio. Si calcola che l’evasione fiscale da parte delle imprese cinesi in Italia è cresciuta nel 2011 del 32.6 per cento rispetto all’anno precedente. A Prato, sempre secondo la stessa associazione, “su un campione di 100 dichiarazioni dei redditi presentate da confezionisti cinesi per il 2010 è emerso che a fronte di 200mila euro di imposte da pagare, l’Agenzia delle entrate non ha riscosso nulla”. Siamo nella industriosa città del distretto tessile travolto dall’uragano orientale, a tutto quanto ha raccontato Edoardo Nesi nel romanzo premio Strega Storia della mia gente.
A Napoli, dove i cinesi, nella loro laboriosità oscura sono stati raccontati da Saviano a partire dal terribile incipit di Gomorra – il rimpatrio delle salme in un container che si rompe lasciando cadere cadaveri con i crani che si fracassano sul molo -, risulta dalla indagine dell’Associazione che in un solo quartiere esistono “ben 9.300 imprese, tra individuali e società di capitali, su un totale di 15.000 esistenti e la gran parte di queste sono riconducibili a imprenditori cinesi, che gestendole tramite prestanome, non pagano regolarmente le tasse”. Ma insomma sarebbe davvero strano se un cinese a Napoli pagasse le tasse…
Tornando all’Italia nel complesso, “in quasi tutte le ditte cinesi controllate nel primo semestre del 2011 sono state trovate irregolarità che hanno portato a sanzioni amministrative ed in molte di queste sono state riscontrate anche violazioni penali”. L’indagine è stata condotta dalla Associazione Contribuenti Italiani elaborando dati della Polizia tributaria, dell’Amministrazione finanziaria, delle Camere di Commercio e dello Sportello del Contribuente, presente nelle principali città d’Italia. Ma basta andare in qualsiasi negozio per rendersi contro superficialmente del problema. Dovrebbero essere i cittadini a chiedere lo scontrino ma come si fa in certi contesti dove capiscono a mala pena l’italiano? A me è capitato di comprare una fantastica camicia per 15 euro in un negozio di Chinatown a Milano e non avevano il camerino: così mi hanno invitato a cambiarmi in bagno. Non avevano lo specchio e mi hanno invitato a specchiarmi nella vetrina in strada. Magari chiedere un parere a qualche passante? Quando alla fine, dopo tutto questo traffico, ho deciso che andava bene, mi sono dimenticato di pretendere lo scontrino o forse non me la sono sentita. Mi avrebbero detto che avevano finito la carta del registratore di cassa e se volevo lo scontrino dovevo andare a comprargliela o qualcosa del genere.
Con la drastica manovra finanziaria imposta dall’Ue all’Italia si annunciano sacrifici, tagli ai servizi erogati, introduzione di ticket e aumenti: bisognerebbe pensarci quando un esercente non rilascia uno scontrino. Far finta di niente è una forma di accomodamento, va bene, ma significa soprattutto contribuire a mettere le basi per un impoverimento della società. Pretendere che questo lavoro di controllo lo facciano le forze dell’ordine, quand’anche con poteri aumentati, forse non è realistico? La lotta all’evasione fiscale dovrebbe essere in testa al programma del governo e cominciare dalle situazioni più evidenti e sotto gli occhi di tutti. Comunque, alla sede di Milano dell’Esatri – l’agenzia che, detto in parole povere (in tutti i sensi), riscuote le multe per conto dell’amministrazione pubblica – per la prima volta, in questi giorni ho visto un viso orientale, molto composto tra gli strepiti soliti della gente che chiedeva sgravi, maggiori rateazioni, che raccontava disgrazie, accusava lo Stato.