Magie in corso a Roma nella pancia del Teatro Valle: dal 14 giugno il teatro è occupato da elfi, clown, ballerini, registi. Proprio mentre la politica decide di dismettere un centenario gioiello della storia del Teatro Italiano, come nelle drammaturgie più fiabesche (ma adulte) la scure si trasforma in una bacchetta e oggi il silenzio del legno e dei muri è un laboratorio di intelligenza ed azione.
Perché a profumare di ottimismo non sono solo i laboratori (sempre esauriti, un’altra fiaba) o gli eventi e gli spettacoli che accarezzano un palco mai orfano, ma sono l’intelligenza e la bellezza che hanno imbevuto le maglie che la vorrebbero soffocare. Perché la cultura può essere sfiancata, osteggiata o impoverita ma rimane indomabile. Ed è per questo che il Valle occupato è un teatro che decide di occuparsi di teatro e di arte ma senza delegare: standoci, piantandosi con le radici forti della professionalità di ognuno (che sia un ballerino, un regista, un attrezzista o un Otello non ancora struccato) perché ogni teatro è l’album fotografico di un pezzo d’Italia, è l’esercizio ostinato (e spesso contrario) di una memoria che non può fare a meno di essere collettiva e partecipata.
Il premio Gibellina Randone quest’anno è andato “al Teatro Valle occupato” per il suo essere “luogo di confronto, di dibattito e di riflessione su natura e destino del valore del teatro come bene culturale collettivo“: un teatro ‘istituzionalmente’ chiuso che viene premiato è il trofeo all’inettitudine culturale di Stato.
Occupiamoci del Valle occupato, perché gli incapaci e i presuntuosi davanti alla cultura e alla bellezza sono sempre con le spalle al muro.