Se non ricordo male, il celibato di sacerdoti e religiosi cattolici non risponde ad una norma di diritto divino positivo, bensì di diritto ecclesiastico, intervenuta secoli dopo la fondazione della Chiesa per assicurare agli uomini di Dio una opportuna libertà dalle incombenze derivanti dagli obblighi e dagli affetti familiari.
Secondo me, così come è stato sicuramente un bene per la Chiesa rinunciare al potere temporale, nella odierna società sarebbe opportuno operare un ulteriore distacco anche dalle incombenze derivanti dalla gestione di un qualunque patrimonio immobiliare di una certa importanza per tornare allo spirito evangelizzatore originale, sfruttando in primo luogo i moderni strumenti di comunicazione digitali e non.
Guardando le cose dall’esterno, da pubblico peccatore escluso dai sacramenti, ma tuttavia consapevole dell’utilità nella nostra società di un’autorità morale -dalla condotta possibilmente indiscussa- con cui confrontarsi, suggerirei di cogliere al balzo le polemiche in corso sull’8 per mille e i benefici fiscali previsti per gli enti ecclesiastici, per smobilizzare gran parte di questo patrimonio e riposizionare la propria mission tra opere di carità, di ascesi e di evangelizzazione.
Il famoso “andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” potrebbe essere realizzato, soprattutto verso le nuove generazioni e quelle comunque alfabetizzate digitalmente, attraverso gli strumenti di comunicazione interpersonale offerti dalla rete, la rete attraverso cui fedeli laici e religiosi potranno continuare ad essere “pescatori di uomini“.
La Chiesa dispone di un asset di grande valore: un patrimonio di risposte al bisogno fondamentale di verità, giustizia e
bellezza che si possono veicolare meglio attraverso un blog o una chat che non attraverso un’ora di religione.