Non ci credo. La “pista palestinese” è sempre stata una bufala, peggio un depistaggio. Sono anni che si cerca di ribaltare l’unica sentenza sulle stragi d’Italia che non si è limitata a condannare gli esecutori materiali, ma è stata in grado di risalire a quel livello occulto che ha sempre agito al momento giusto facendo ricorso alle bombe. Dietro il “colpo di scena”, di cui parlano con enfasi i telegiornali e che ha portato la procura di Bologna a iscrivere sul registro degli indagati, trenta anni dopo, due ex terroristi tedeschi come Thomas Kram e Margot Frolich, non c’è soltanto la necessità di assolvere Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Ormai sono in libertà da anni, nonostante i 28 omicidi confessati e gli altri sei ergastoli che hanno collezionato. Neppure quel marchio di “strage fascista” che inquieta gli ex An, ansiosi di liberarsi del fardello del passato, è il vero motivo, anche se in verità a darsi più da fare sono stati loro.
La sentenza di Bologna grida vendetta per aver osato condannare il segretario generale della P2 Licio Gelli e due alti ufficiali del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, dell’ufficio Controllo e sicurezza, ovvero il “cervello” della Gladio Militare. P2 e Gladio: soltanto la sentenza di Bologna ha osato indicare i loro massimi esponenti come i veri manovratori della strage, scesi in campo per oscurare movente e mandanti del più grave eccidio del secolo scorso, con i suoi 87 morti e decine di feriti.
Questo angustiava Cossiga e, non si sa perché, angustia ancora l’amico Rosario Priore che ha indagato a lungo su Ustica, ma anche su Moro, sulla Banda della Magliana, e ben sa di cosa si parla e perché furono condannati in via definitiva, a dieci e otto anni, Gelli e i due alti ufficiali del Sismi. Fu proprio la procura di Roma, ad onta della cattiva fama, a scoprire il collegamento tra la strage di Bologna e la tentata strage sul rapido Taranto-Milano dove furono trovati pacchi di tritolo e fucili Mab, avvolti in fasci di giornali che Pazienza aveva distrattamente abbandonato su un tavolo dell’ufficio, riconosciuti purtroppo in una foto scattata quel giorno a Fiumicino.
L’informativa del Sismi indicava quattro anarchici tedeschi che avrebbero utilizzato giornali acquistati a New York per avvolgere le loro armi. A svelarlo fu un maresciallo del Sismi che quell’informativa aveva fabbricato. Tutte le strade portano in Germania. Anche l’ombra di Ilich Ramirez Sánchez, il mitico Carlos lo Sciacallo. Pista ben confezionata. Due anni prima, un auto contenente armi, esplosivo e perfino due missili terra-aria fu fermata ad Ascoli Piceno. Alla guida c’era Daniele Pifano, autonomo di via dei Volsci e, sopresa, anche Abu Saleh Anzeh, del Fronte rivoluzionario palestinese di Arafat. Pifano ed Anzeh furono arrestati, per scagionarli si mosse anche il colonnello Giovannone di stanza in Medio Oriente. In mezzo c’era il Lodo Moro, l’accordo segreto tra il Sismi le organizzazioni palestinesi.
Carlos, interrogato nel carcere di Parigi dove sta scontando l’ergastolo, disse: “Il traffico di armi ed esplosivi attraverso l’Italia era cosa nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, i compagni potevano attraversare l’Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti. Quel tritolo viene dai militari… Tra i rivoluzionari palestinesi e i servizi segreti italiani i patti erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no… E noi abbiamo mantenuto la parola”. Non che quello che dice Carlo sia vangelo, ma è anche poco chiaro perché l’Ori, la sua organizzazione, doveva compiere un attentato, contro i suoi interessi, per liberare un membro del gruppo avversario.
Fu un rapporto di un giovane funzionario dell’Interpol, Gianni De Gennaro, oggi a capo del Dis, a scagionare una ventina di anni fa Kram e la Frolich. I due erano soltanto di passaggio a Bologna, il primo aveva alloggiato in albergo fornendo regolare passaporto. Il movente della strage di Bologna, come quello di ogni altra strage, è molto complesso. Un mese prima era scomparso un Dc 9 a Ustica, c’era il crack di Sindona alle spalle, quello dell’Ambrosiano alle porte, i soldi della mafia scomparsi e molte inchieste che portavano sulle tracce di Gelli e del ruolo svolto dalla cellula “deviata” del Sismi. Pochi mesi dopo sarebbero state scoperte le liste a Castiglion Fibocchi, un sistema di potere stava per saltare in aria. Forse nella sentenza di Bologna c’è qualche errore, non ci sono ancora i mandanti. Ma è questa la verità che si vuole negare.