La rivelazione di Bloomberg e del Wall Street Journal: per gli operatori dell’high frequency trading i giorni più convulsi di Wall Street si sono tradotti in profitti giornalieri da decine di milioni di dollari. Cifre ridotte, ma pesanti, in prospettiva, su scala annuale. E intanto all’orizzonte non c’è alcuna regolamentazione
Dice il saggio: i veri soldi, quelli “a palate”, si fanno solo con la speculazione. E la speculazione, quella vera, si nutre essenzialmente di una sola cosa: di volatilità. Un ragionamento che deve essere risuonato prepotentemente nelle orecchie di decine e decine di esperti traders statunitensi che nei primi caldissimi dieci giorni di agosto hanno scelto addirittura di abbandonare le proprie esclusive località vacanziere per rimettersi prontamente al tavolo delle negoziazioni. Scelta folle? Mica tanto. Perché rinunciare alle proprie ferie per tornare a immergersi nel calderone di Wall Street può sembrare assurdo per chi si è guadagnato un breve periodo di meritatissimo riposo. Ma non certo per chi, nel pieno della tempesta finanziaria che ha assalito le piazze mondiali, ha fiutato da distante, magari all’ombra di qualche palma caraibica, l’affare del momento.
Nei primi dieci giorni di agosto, che hanno visto Wall Street crollare al tappeto sotto il peso di 2.200 miliardi di dollari bruciati nel controvalore dei titoli azionari, gli operatori dell’high frequency trading, il sistema di scambio automatizzato che sposta enormi volumi di titoli nello spazio di frazioni di secondo, hanno incassato profitti pari a decine di milioni di dollari al giorno stabilendo nuovi record. Nella terrificante seduta dell’8 agosto scorso, con il Dow Jones Industrial crollato di 635 punti base, i trader ad alta velocità si sarebbero messi in tasca qualcosa come 60 milioni di dollari. Il calcolo lo ha reso noto in questi giorni il Wall Street Journal citando le analisi dell’ente di ricerca newyorchese Tabb Group e sottolineando quello che in termini numerici appare comunque come un evento eccezionale.
Quei 60 milioni di profitto giornaliero, scrive infatti il Wsj, “pur non apparendo particolarmente significativi nel contesto dei mercati globali, si tradurrebbero in un guadagno complessivo annuale pari a circa 15 miliardi”. Ovvero, a conti fatti, in una cifra più che doppia rispetto all’ammontare totale dei guadagni dell’high speed statunitense nel 2009: circa 7,2 miliardi. Tempo addietro, i ricercatori della Tabb avevano previsto profitti totali degli scambi ultra rapidi 2011 sul mercato azionario Usa non superiori ai 5 miliardi. Ma questo avveniva prima che la tempesta speculativa d’estate si abbattesse come un uragano sulle borse del Pianeta coinvolgendo ovviamente anche Wall Street. Probabile, quindi, che la società di New York riveda presto le proprie stime annuali con una correzione al rialzo.
Cifre ulteriori le ha fornite l’agenzia Bloomberg, denunciando per prima l’impennata di questo genere di scambi. Il volume complessivo degli scambi azionari realizzati a Wall Street tra il 4 e il 10 agosto scorso si è assestato su un ammontare medio giornaliero di 15,97 miliardi di titoli azionari battendo così il precedente record di 15,94 miliardi registrato tra il 15 e il 19 settembre di tre anni fa. Ovvero nei giorni seguenti al collasso della banca d’investimento Lehman Brothers. Secondo i dati della società di intermediazione Wedbush, le società dell’High frequency trading avrebbero movimentato nel mese di agosto i 3/4 del volume azionario totale della borsa statunitense concentrandosi in particolar modo sui titoli di alcuni colossi del mercato come Apple, Google, Bank of America e Goldman Sachs.
Gli argomenti a favore dello scambio ad alta velocità si concentrano solitamente sui benefici derivanti dall’apporto di liquidità che gli operatori del settore forniscono al mercato. Ma le perplessità sulle capacità di manipolazione dei prezzi associate a questo genere di scambi sono note da tempo. Il 6 maggio del 2010, Wall Street fu investita da una clamorosa ondata di volatilità che generò un panico improvviso bruciando qualcosa come 700 punti base nello spazio di pochi minuti. Sul momento si chiamarono in causa il disastro greco e la speculazione valutaria ma, successivamente, bastarono pochi giorni di indagine da parte della Securities and Exchange Commission (Sec) per scoprire che dietro al terrore borsistico di quel giorno c’era la mano degli operatori high speed. Un episodio che continua a costituire un monito specialmente in un momento come questo dove la speculazione si affianca alla crescita delle borse alternative in un vero e proprio circolo vizioso di mutuo appoggio. La Consob, di recente, ha lanciato l’allarme mentre la Sec invoca da un anno nuove misure di regolamentazione. Ma questo, come noto, resta il tasto più dolente. Quello, ovviamente, sul quale i rappresentanti del G20 non riescono mai a trovare una posizione unitaria per poter attuare una spinta comune.