Amianto incastonato nel paesaggio urbano bolognese. Eternit nella tettoia di via Massarenti, a pochi passi dal centro e nella trafficata zona San Vitale: siamo in un’area dell’ospedale Sant’Orsola che si affaccia sulla strada. Le mani di pittura passate sul rivestimento interno della tettoia non nascondono il tipico aspetto del cemento di amianto, cancerogeno – il cartello di divieto di fumo abbandonato là sotto suona come un paradosso. E accanto passano le auto, gli affollati autobus della linea 14, tanti bolognesi a piedi, mentre qualche paziente si affaccia alla finestra.

Dal Sant’Orsola ai pressi dell’Ospedale Maggiore, il filo grigio dell’amianto traccia una mappa cittadina sconosciuta ai più, ma sotto gli occhi di chiunque voglia percorrerla.

A Prati di Caprara una grande tettoia militare ormai in stato di abbandono si lascia erodere al vento. Vento che passa, la buca e la sgretola, per poi inseguire, a pochi metri in linea d’aria, l’edificio dell’ospedale Maggiore. Mangiato dal tempo e bucherellato, l’amianto è ancora più pericoloso: diventa friabile, le fibre volatili vengono più facilmente inalate. Qualcuno ha denunciato la situazione almeno quattro anni fa, ma la copertura di eternit è ancora lì. A dar battaglia all’amianto (e a chi lo lascia dov’è) c’è Vito Totire, di professione medico del lavoro, uno che la polvere micidiale la sa riconoscere e che è attivissimo nell’Aea (Associazione Esposti Amianto). Quanto costerebbe bonificare la tettoia di Prati di Caprara? Stando larghi, mezzo milione di euro, risponde.

La cifra scenderebbe nel caso della tettoia di via del Parco, sempre zona militare, stavolta dirimpetto a una fila di case, alla pizzeria di quartiere – viavai di città e tante finestre aperte ad affaccio sul cemento d’amianto. “Certo, i poteri ispettivi della Usl sono più complessi da esercitare se nel mirino c’è un’area militare, spiega Totire, ma un aspetto importante può fare la differenza e non dev’essere ignorato: la presenza di rischi per la zona circostante, per la salute pubblica. Il pericolo poi in casi come questi è una certezza: l’amianto diventa pericoloso dopo soli 18 mesi, perché se una grandinata può essere fatale, bastano gli effetti del vento e del tempo per trascinare le polveri cancerogene… Perciò la sicurezza dei cittadini deve venire prima di tutto”.

Lo crede anche Callisto Valmori, abitante di via delle Armi: la sua casa affaccia su una bella pista ciclabile, sul canale di Savena, sull’ex caserma Mazzoni. Dalla finestra si vede benissimo anche la tettoia oltre il filo spinato, si vede bene che è di amianto. E lo sa la Usl dal 2005, che in quell’anno aveva preso atto formalmente di un sopralluogo effettuato nella caserma; allora si stimò che le lastre di eternit raggiungessero una superficie di 1200 metri quadrati e venne appurato che il materiale di amianto versava in cattivo stato di conservazione. Già allora, nel 2005, quel sopralluogo consigliava la rimozione della tettoia. Sei anni dopo, è ancora lì, ben visibile, e lo stato di conservazione non è certo migliorato.

“Chiediamo un censimento sull’amianto ancora da bonificare, chiediamo di sapere quanto ce n’è davvero e dove, nelle aree civili e anche in quelle militari: nel secondo caso, oggi l’eternit è quasi del tutto non censito, e quando invece viene catalogato – parlo ad esempio della polveriera di Zola Predosa – poi viene lasciato per anni dov’è. Credo anche che ci sia bisogno di stabilire bene le priorità, insomma come cittadini ci aspettiamo un piano serio per la bonifica progressiva del territorio e per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi”. Vito Totire e la sua associazione lo dicono ancora dopo anni, che Bologna deve sbarazzarsi dell’amianto, e intanto c’è chi come Callisto Valmori ce l’ha sotto casa, chi no, o chi ancora non sa di averlo.

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