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Squatting: un altro volto dell’emigrazione

L’italianità di Daniele si intuisce al primo sguardo: barba corvina, media altezza, occhi scuri e il viso di uno che nella vita ne ha viste e vissute molte.

Daniele sale su un treno nel 1997, lasciandosi alle spalle una Palermo che non ha da offrirgli altro che condizioni economiche disagiate e l’oppressione di un ambiente con il quale il suo spirito gitano difficilmente si sposa. Il programma è di fare tappa nella capitale inglese, tirare su qualche soldo con del buon blues per poi attraversare l’oceano alla volta degli Stati Uniti.

Una volta arrivato a Londra però si accorge dello scarso interesse che, in quel periodo, gli inglesi dedicano al blues. Deluso Daniele regala le sue armoniche ai senza tetto e in ristrettezze economiche vede nello squatting – l’occupazione di edifici abbandonati o disabitati – una buona soluzione a una grossa parte dei suoi problemi: “Non avevo una lira, lavoravo in fabbrica per tre sterline all’ora, una miseria. Con quello che guadagnavo riuscivo a malapena a mangiare”.

Così Daniele impara i segreti del mestiere, iniziando a riconoscere quali case si possono occupare e come aprirne gli ingressi: “Le case che occupavamo erano tutte abbandonate, di persone morte sole che non avevano nessuno a cui lasciare la proprietà. I problemi arrivavano solo quando il council (l’autorità di amministrazione locale, ndr) si metteva di mezzo illegalmente. Il council non ha diritti di proprietà sulle case, ma se dimostra che l’occupazione è abusiva, può riprendersi il terreno e rivenderselo”.

Gli edifici occupati, quando non vengono usati come abitazioni private, diventano centri di aggregazione sociale o luoghi dove vengono organizzati dibattiti, cineforum, corsi di vario genere o eventi culturali, e questo può disturbare il vicinato e attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.

A livello giuridico, tuttavia, lo squatting rientra nell’ambito del diritto civile e, nel caso in cui l’accusa vinca, l’occupante deve lasciare la proprietà entro 24 ore. Non è tuttavia raro che gli squatter vincano la causa dal momento che la controparte deve dimostrare che questi sono entrati con l’uso della forza, cosa difficile in assenza di testimoni e nel caso si siano prontamente riparati gli eventuali danni. Inoltre un grosso aiuto in termini legali è dato dall’Advisory Service for Squatters, un’associazione che fornisce consigli pratici e assistenza a chiunque decida di entrare nel giro degli squatter.

Sebbene questa pratica fosse molto diffusa negli anni ’70, ancora oggi si leggono sui giornali storie di occupazioni e casi legali che riguardano questa materia, dato che anche personaggi come il regista Guy Ritchie e Saif Gheddafi, figlio del colonnello libico, sono stati vittime recenti degli squatter londinesi.

Adesso fisarmonicista di strada e con fissa dimora, Daniele mi spiega che l’esperienza dello squatting gli ha permesso di conoscere molta gente interessante, ma principalmente “si possono incontrare due tipi di persone: i finti alternativi e i poveracci. I primi si fanno i buchi alle orecchie e vanno a giro con i capelli strani, ma alla fine del mese c’è paparino che manda i soldi. I poveracci sono invece quelli che si sudano il pane e solitamente sono anche malvisti dagli altri perché non appaiono abbastanza fuori dal sistema”. Motivo che lo ha spinto ad allontanarsi dall’ambiente.

di Luca Russo, Digital Production Editor e giornalista freelance a Londra