Continuano i paradossi di una vicenda tragica e senza fine: questa volta uno degli agenti incriminati e condannati in appello prova a trascinare in aula la madre della vittima
Non è la prima querela che la madre coraggio riceve da quando ha aperto un blog per denunciare quanto avvenne a suo figlio il 25 settembre 2005. Già gli altri tre poliziotti coinvolti nella colluttazione che portò alla morte del ragazzo di 18 anni la accusarono di diffamazione l’anno passato (procedimento già archiviato). Anche la pm Mariaemanuela Guerra, il primo magistrato che si occupò del caso giudiziario, l’ha chiamata in causa per diffamazione insieme ad alcuni giornalisti (il processo si aprirà a marzo) e le chiede in sede civile un risarcimento milionario.
Le parole incriminate questa volta sono quelle pubblicate il 27 aprile sul blog, in un post dal titolo “Al bar”. In un bar la donna si trovò di fronte Forlani e trasalì. Nel suo diario telematico racconterà poi di aver incontrato “uno di quelli che hanno tolto la vita a Federico (la frase originaria, poi sostituita nel giro di qualche ora, era “uno degli assassini di mio figlio”, ndr), tranquillo e allegro con una ragazza”. La madre di Federico prosegue dicendo che “quando vedo uno di loro mi manca il fiato, come a mio figlio. Mi si ferma il cuore, come a lui. Non riesco più a respirare, non so reagire. Vorrei urlare, picchiare, uccidere, ma non ne sono capace. Posso solo andare via e piangere. Andare via per non mostrare le lacrime proprio a loro. Impuniti. Per ora”. Il procedimento a carico dei quattro poliziotti attende infatti ancora la sentenza definitiva di condanna o di assoluzione.
Quelle frasi ora finiranno al vaglio del giudice per le indagini preliminari, dopo che la procura di Ferrara ha già chiesto l’archiviazione e dopo che l’avvocato del poliziotto si è opposto chiedendo l’imputazione coatta.
Per la pm Ombretta Volta la diffamazione non sussiste, dal momento che il termine “assassino” è sì “una espressione forte”, ma “è il nostro stesso codice che definisce la condotta con il termine di omicidio”, “un sinonimo di assassino”. Per quanto riguarda l’istigazione, invece, l’accusa è infondata, perché “mancherebbe la volontà cosciente di commettere il fatto”. Si tratterebbe, secondo la pm, dello “sfogo di una madre che vive il dramma di chi non riesce a colmare il vuoto di un figlio”.
Tutto il contrario per l’avvocato Gabriele Bordoni, secondo il quale il termine “assassino” è idoneo a ledere la reputazione di Forlani (“si può parlare di ‘assassino’ solo se vi è stata una volontarietà nel commettere l’omicidio”), mentre la frase “vorrei urlare, picchiare, uccidere ma non ne sono capace” basterebbe da sola “ad incitare altri verso atti di violenza contro la persona offesa”.
Patrizia Moretti comparirà davanti al gip – cui spetterà di valutare il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere – il prossimo 10 novembre. “Non temo le sue ostinate e ripetute azioni giudiziarie – commenta sul blog la madre -, ma non posso sopportare il fatto che possa qualificarsi come ‘appartenente alla Polizia di Stato’ nel perseguitarmi giudiziariamente dopo avermi tolto mio figlio. Questo è insopportabile”.
Intanto la notizia della querela rischia di guastare il clima in vista del 29 settembre, quando Ferrara si prepara ad accogliere la festa nazionale di san Michele Arcangelo, il patrono della polizia di stato.