Sulla pista palestinese – quella tornata d’attualità in questi giorni dopo l’iscrizione nel registrato degli indagati per la strage del 2 agosto 1980 di due terroristi vicini a Carlos, Thomas Kram e Margot Frohlich – intanto si può fare un’affermazione: l’atto firmato dal sostituto bolognese Enrico Cieri è dovuto perché dei due si parla anche nei documenti acquisiti dalla commissione Mitrokhin. Ma la posizione di entrambi è nota da decenni alle forze dell’ordine, che già indagarono su di loro e non trovarono alcun elemento per procedere. Lo stesso si può poi affermare quando si parla dello scoppio alla stazione di Bologna come “ritorsione” dei palestinesi contro la violazione di accordi non formali tra Italia e palestinesi.
Per il Sismi il lodo Moro fu valido fino al giugno 1981. Il lodo Moro, l’accordo di cui sopra stipulato dal governo italiano tramite il Sid (nome dei servizi segreti militari prima della riforma del 1977 che li trasformò il Sismi), sarebbe valso fino all’anno successivo alla strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980. A fare questa affermazione fu chi di palestinesi se ne intendeva. Era il colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut e profondo conoscitore anche di trattative per la liberazione degli ostaggi, se si dà retta a quanto scrisse Aldo Moro nel corso dei 55 giorni che trascorse ostaggio delle Brigate Rosse fino al 9 maggio 1978, giorno del suo assassinio.
In merito alla solidità del lodo che prendeva il nome dello statista democristiano per cui lo Stato italiano non volle trattare, disse Giovannone ad alcuni giornalisti inglesi: “Non vi sono state azioni palestinesi in Italia dal ’73 al’81”. E ancora il 15 giugno 1981 un’informativa del Sismi confermava che “solo a partire dal giugno del ’81 su quel patto si rischia di non poter fare più affidamento”. La strage del 1980, dunque, proprio per una parte dei servizi militari (da sempre divisi sulle posizioni filopalestinesi incarnate prima da Vito Miceli e poi da Giuseppe Santovito e sulle contrapposte filoisraeliane rappresentate, tra gli altri, da Gianandelio Maletti, latitante da tre decenni in Sudafrica dopo una condanna legata alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969), non poteva rientrare all’interno di un’azione di vendetta per l’arresto di Abu Anzeh Saleh, avvenuto il 14 novembre 1979.
Qualche giorno prima, il 7 novembre, era accaduto che nel corso di un controllo a Ortona, provincia di Chieti, tre esponenti dell’autonomia romana Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Giuseppe Nieri vennero sorpresi dai carabinieri mentre trasportavano dei missili la cui proprietà venne rivendicata dal Fronte popolare di liberazione palestinese (Fplp), che già in passato aveva movimentato armi corte e lunghe sul territorio italiano senza provocare alcun incidente a danno di cittadini del Belpaese.
Ma chi è Saleh? Entrato in Italia alla fine del 1972 per studiare, ci resta poco meno di un anno e mezzo, quando se ne deve andare perché espulso per oltraggio. Sta di fatto che il suo successivo rientro avviene con il beneplacito del ministero degli Interni e nel 1976 viene segnalato da Giovannone come potenziale gola profonda da mettere a libro paga del Sid.
Nel frattempo i palestinesi – proprio in forza dell’accordo concluso con il governo italiano (e che il presidente emerito Francesco Cossiga prima attribuisce direttamente a Moro per poi rivendicarne quanto meno la firma di fronte al rappresentante italiano dell’Olp) – avevano continuato ad agire nella penisola prendendo di mira obiettivi israeliani ed erano stati più volte liberati nel caso di arresti (è rimasto per esempio il dubbio che il disastro di Argo16, aereo del Sid precipitato a Marghera il 23 novembre 1973, fosse una “ritorsione” israeliana proprio al rientro di uno di questi viaggi).
Le veline di Santovito, Musumeci e Pazienza. Torniamo però alla strage alla stazione di Bologna. Il Fplp avrebbe iniziato a innervosirsi dieci mesi dopo il 2 agosto 1980. Però c’era chi, all’interno dell’intelligence italiana, aveva già iniziato a indirizzare le verso l’estero. Il depistaggio, perché di questo si tratta, più clamoroso è quello del 13 gennaio 1981. C’è un treno partito da Taranto che deve arrivare a Milano, ma la sua corsa si arresta all’altezza di Bologna perché una velina del Sismi dice che sul convoglio viaggiano due terroristi – uno tedesco e uno francese – che portano con sé un arsenale.
Di fatto vengono trovati giornali, documenti d’identità e di viaggio riconducibili ai due presunti terroristi, oltre a esplosivo compatibile con quello utilizzato a Bologna e un Mab, un mitra che si scoprirà in seguito provenire dalla “santa barbara” della banda della Magliana. Quattro giorni prima del ritrovamento c’è un’altra informativa dell’intelligence militare, intitolata “Terrore sui treni”, frutto di un incontro tra il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi, il suo consulente Francesco Pazienza e un uomo della Cia vicino a Francesco Cossiga, Michael Ledeen.
L’informativa, consegnata a Pietro Musumeci, ai tempi numero 2 dei servizi militari, viene divulgata all’interno del servizio, ma nel 1984 un maresciallo dei carabinieri di Vieste, Francesco Sanapo, confesserà al magistrato Domenico Sica cosa si celava dietro: una montatura a cui lo avrebbe indotto il colonnello Giuseppe Belmonte, che lavorava a stretto contatto con Musumeci. Intanto Licio Gelli, maestro venerabile della loggia Propaganda 2, aveva incontrato un altro uomo del Sismi, Elio Cioppa, già in forza alla questura di Roma, per dirgli che “la pista era internazionale”, a proposito della bomba di Bologna.
Anche Cioppa, come quasi tutti gli altri, era iscritto alla P2, come si scoprirà il 17 marzo 1981. E l’ombra del venerabile torna anche nel depistaggio di Elio Ciolini, fiorentino d’origine e con un passato in chiaroscuro tra servizi di vari Paese e criminalità. Il quale, in sostanza, dal carcere ginevrino di Champ Dollon, accreditava di nuovo la pista internazionale, diceva che lo scoppio del 2 agosto 1980 era avvenuto per distrarre da altre vicende (tra cui cessioni di grosse quote di società italiane, come la Montedison) e sosteneva che i mandanti andavano ricercati all’interno di una superloggia di Montecarlo. Per farlo parlare, a Ciolini vennero mandati dall’Italia uomini del Sismi e denaro con il risultato di veder smentire in sede d’indagine tutto quando aveva affermato.
Un atto dovuto dopo gli atti acquisiti dalla commissione Mitrokhin. L’incriminazione di Thomas Kram e Margot Frohlich, nell’ambito dell’inchiesta mai chiusa sulla strage, deve essere calata in questo contesto. Un contesto arricchito, a quanto si è potuto apprendere fino a oggi, da documenti acquisiti dalla commissione Mitrokhin e che sono stati definiti come “fondamentali”. Di questo materiale, tuttavia, Valter Bielli, membro della commissione in quota Ds, parla da lungo tempo dicendo che si tratta di traduzioni di traduzioni (dall’ungherese al tedesco all’italiano, solo per citare alcune lingue), non suffragate dalla versione originale e su cui sarebbero state appuntate percentuali di incomprensibilità del testo, non sciolte nemmeno da chi ha curato il passaggio da un idioma a un altro.
E la posizione di entrambi i due ex terroristi tedeschi è già stata vagliata in passato non arrivando ad alcuna incriminazione. A raccontare gli spostamenti di Kram, entrato in Italia il 1 agosto 1980 e che pernottò quella notte a Bologna, è stato Gianni De Gennaro, il futuro capo della polizia e direttore del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) ai tempi all’Interpol. E altrettanto “mappato” lo era stato dai servizi segreti. Tutti dunque sapevano dove si trovava il tedesco, anche perché usò il suo nome e documenti regolari che attestavano la sua reale identità al momento della registrazione presso l’hotel Centrale di Bologna.
Se invece a Bologna ci sia davvero stata anche Margot Frohlich non si sa con sicurezza. A riconoscerla ci fu una dipendente dell’albergo Jolly dicendo che una foto dell’ex terrorista le ricordava le fattezze di un’ospite dell’hotel che parlava italiano con accento teutonico e che si preoccupò di accertarsi dove fossero i figli, appena dopo lo scoppio della bomba. Se Frohlich ha sostenuto di aver imparato l’italiano dopo (e magari su questo punto potrebbe mentire), di certo c’è che di figli non ne aveva ai tempi.
In ultimo va ribadito che l’iscrizione è un atto dovuto alla luce dei documenti della Mitrokhin (proprio quelli che Vietti definisce incomprensibili) e che, prima di giungere a un qualsiasi provvedimento successivo (all’interno del quale ci potrebbe essere anche l’archiviazione del fascicolo), occorre sentirli assistiti da un avvocato difensore (già lo furono come testimoni). Dunque, oltre che dovuta, l’iscrizione effettuata della procura di Bologna è anche a tutela degli stessi tedeschi.
Un atto, infine, di cui il procuratore capo, Roberto Alfonso, avrebbe voluto parlare lontano dall’anniversario della strage proprio per non dare troppo fiato alle polemiche che ogni anno si scatenano in tema. E che quest’anno, oltre a quelle per la seconda assenza consecutiva del governo, avevano compreso anche la richiesta del Pdl di schierare l’esercito in piazza perché si lamentavano presunti pericoli per l’ordine pubblico. Su di essi, però, il ministro della difesa Ignazio La Russa aveva glissato. “Bastano carabinieri e polizia”.