Giuseppe Sarcina, Elisabetta Rosaspina, Domenico Quirico e Claudio Monici, i quattro reporter rapinati e poi presi in ostaggio mentre erano diretti verso Tripoli, da giorni raccontavano agli italiani il lento epilogo della lunga rivolta libica. Sulle pagine del Corriere della Sera, de La Stampa e di Avvenire avevano descritto umori e dettagli di un popolo in rivolta da sei mesi contro il suo dittatore. Nelle ultime ore scrivevano da Al Zawiya, una cittadina a circa cinquanta chilometri da Tripoli. Una località sul mare, sulla costa ovest della Libia, e dunque liberata già prima dell’assalto finale alla capitale da parte dei ribelli.
Sono proprio gli insorti i protagonisti degli articoli dei reporter, che ne descrivono la comprensibile euforia per la conquista della libertà dopo 42 anni di dittatura. La presa del bunker di Bab al Aziziya, scrive Sarcina sul Corriere della Sera di mercoledì 24 agosto, “ha un valore storico e darà coraggio agli insorti. Sembrava inespugnabile, invece ci sono riusciti. Ma la partita rimane aperta”. Il giorno precedente il giornalista aveva sottolineato la diversità del clima di Al Zawiya rispetto a Tripoli: nella cittadina interamente liberata la gente, pur non avendo né internet né rete telefonica, si teneva informata sugli ultimi risvolti della battaglia attraverso la tv. Mentre nella capitale si continuava a combattere, con l’ostinata resistenza delle milizie del Raìs che non risparmiano nemmeno i bambini, sui quali i cecchini non esitano a sparare.
Per Al Zawiya, scrive sempre mercoledì Domenico Quirico su La Stampa, “passa la strada della rivoluzione vittoriosa”. La strada di un popolo euforico, che già immagina un imminente futuro diverso, in cui “verranno le comitive a leggere le lapidi e a guardare dove hanno combattuto gli eroi, i ragazzi che hanno cacciato Gheddafi”. Ma la popolazione, sottolinea il giornalista, è anche consapevole che “non è finita”. La battaglia finale prosegue, e dunque può succedere di tutto. Anche di essere rapinati e tenuti in ostaggio mentre si fa il proprio lavoro.